venerdì 24 marzo 2017

Le cinque W della Falena - Parte II

Dopo aver chiarito oltre ogni ragionevole dubbio (o, almeno, lo spero) che questo blog riguarda solo la mia esperienza personale, e che per farsi aiutare in caso di Attacco di Falena occorre rivolgersi a dei professionisti seri, vorrei fare un triplo salto carpiato alla Hilary/Hikari sulla questione lasciata aperta nello scorso post, cioè lo Scatolone della
Hilary/Hikari e il suo Triplo Salto Carpiato! Evviva 
(semicit.)!
Vergogna e le sue implicazioni.

Punti fermi delle Puntate Precedenti i seguenti:



  1. La depressione è una malattia;
  2. La depressione può essere sconfitta;
  3. Non è un male rivolgersi a uno specialista, nel senso di...
  4. ... uno psichiatra per i farmaci;
  5. ... uno psicoterapeuta;
  6. Non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto e di ammettere che la Falena ci è zompata addosso. 
Tuttavia, nonostante gli inquietanti casi di cronaca di Tizio/a che in un raptus uccide il/la partner e poi leva la mano vindice su se medesimo, e le conseguenti campagne di Pubblicità Progresso che invitano i depressi a rivolgersi al Telefono Amico (o chi per lui), non vedo nessuno ansioso di piazzare dappertutto enormi tazebao dichiarando urbi et orbi di avere uno sgradito lepidottero come ospite. 
Non credo che sia per pudore, né per riservatezza, né per mancanza di "esibizionismo" (sentita con le mie orecchie: da quand'è che ammettere di avere un problema è diventato esibizionismo?): tra tutte le motivazioni per non voler raccontare di avere la depressione, le prime due sono umane e comprensibili. 
In realtà, però, non costituiscono esse stesse il motivo per cui molti non raccontano di avere un problema, nemmeno quando ce ne sarebbe bisogno. 
Un esempio di Vita Vissuta™.
"Perché ieri non sei venuto al giapponese per la festa di compleanno di Asdrubala? Ci è rimasta male!"
"Eh, cosa vuoi, mi dispiace ma non mi sentivo bene... avevo il raffreddore".
Laddove "raffreddore" significava, in realtà: "Ero a casa a mangiare un intero bidone di gelato al cioccolato con il cucchiaio da insalata, tentando di tirarmi su abbastanza da non seppellirmi in camera mia senza  lavarmi per l'intero weekend".
Questo dialogo - con retrotesto - è l'esatta rappresentazione delle conseguenze dello Scatolone della Vergogna.
Sì, sorvoliamo sul fatto che ci sono individui - come me, da
quando sto meglio - che sarebbero in grado di condire
un chirashi con le lacrime versate per la morte
del proprio pesce rosso... anch'esso finito
nel chirashi.
Certamente uno può aver pudore di ammettere di essere stato abbrancato dalla Falena, e secco come l'oro un sacco di individui cercheranno di autospiegarsi il castello di balle che vanno raccontando appiccicandoci l'etichetta "riservatezza". 
Ora, immaginando che la parola "raffreddore" nel discorso di cui sopra significasse davvero "rinite di origine virale", la frase improvvisamente smette di essere assurda e acquista un senso compiuto.
Uno con il naso che gli cola e spernacchia come una tromba non ha voglia di andare a scofanarsi di pesce crudo all'All You Can Eat, no?
L'obiezione ha perfettamente senso.
Se la depressione è una malattia, perché alla domanda sul forfait alla festa di compleanno di Asdrubala nessuno risponderebbe: "No, guarda, non ho lo spirito di venire a festeggiare questa sera. Rovinerei solo il divertimento a tutti: fate come se ci fossi e divorate i tavoli in salsa di soia anche per me"?
  1. Per non vedersi presi per pazzi;
  2. Perché, davanti a una risposta del genere, l'Amico-Tipo risponderebbe insistendo/dicendoti di non fare il musone/sostenendo che te la tiri/altre amenità.
Queste stesse circostanze si ripetono in qualsiasi circostanza della vita quotidiana che richieda contatto con il pubblico che possa essere reso difficile dalla presenza della Falena - cioè, a parte dormire e andare di corpo, praticamente tutte
I punti 1 e 2, infatti, sono la manifestazione interiore ed esteriore dello Scatolone della Vergogna, cioè quello che spinge le stazioni ospitanti della Falena a nascondere il proprio disturbo come nel 1700 tra gentiluomini si nascondeva di avere uno zio che barava alle carte.
Se, però, questo atteggiamento ha l'indubbio vantaggio di mettere al riparo dalle domande e dai giudizi - idioti - del pubblico, in un individuo generalmente fragile come il depresso porta alla tentazione di ammettere che sì. È vero: in me c'è qualcosa di anormale. Reagisco in modo anomalo. Sono matto/a.


No.

L'individuo clinicamente depresso non è matto; è malato. Non di una patologia psichica che causa davvero un'alterazione permanente della percezione di sé, o che altera in modo sensibile la personalità, però. 
Normalmente, a me, l'espressione "pazzo" fa imbestialire: perché è un termine colloquiale ignorante che fa una maccheronata gigante di una serie di disturbi anche gravi che colpiscono moltissimi esseri umani incolpevoli. E che, spesso, è usato anche in modo dispregiativo. 
Anche ammettendone l'uso da parte dell''"uomo della strada", tuttavia, uno che ospita un lepidottero omicida non è pazzo. Uno con un disturbo antisociale di personalità che ruba, stupra e vive ai margini della società è matto.
Uno schizofrenico non curato convinto, sotto l'influsso di allucinazioni, che il vicino voglia eliminarlo (e che per questo lo fa fuori lui) è pazzo.
Il pazzo può essere socialmente pericoloso.
Il depresso è solo un individuo bisognoso di cure, ma non fino a questo punto: e quando un attaccato dalla Falena fa una strage, è perché è diventato matto. Non lo era già da prima, e se avesse avuto accesso ad accudimento e cure probabilmente la Falena non lo avrebbe divorato da dentro a morsi così voraci da fargli desiderare di morire, e di portare con sé un  po' di compagnia. 
Perché non ha richiesto aiuto quando era il momento, e spesso non si è nemmeno accorto di essere stato attaccato dalla Falena?
A causa dello Scatolone della Vergogna.


Non fatevi ingannare dal suo aspetto mite. Se vi ci nascondente dentro,
uscirne sarà molto difficile.
Avete mai visto un gatto dormire in uno scatolone, e quanto è triste
quando deve emergere? Si sente protetto e al sicuro.
Ma se non ne venisse mai fuori, non potrebbe mangiare, giocare,
sgranchirsi le zampe, e schiavizzare i suoi umani con un solo sguardo,
come tipico di tutti i mici.
Il mondo è pieno di idioti, di cretini, e anche di amici o parenti benintenzionati ma ignoranti, che credono di fare il bene altrui con battute minimizzanti e dicendo ovvietà (di solito così esasperanti che, qualora i destinatari di cotali perle di saggezza li uccidesse, il giudice darebbe la legittima difesa). Indubbiamente, grazie al guscio creato dallo Scatolone della Vergogna, si evitano le loro intromissioni; ma alla fine, è come una prigione - l'ennesima - che cade addosso al depresso impedendogli di realizzare che basta qualcuno che aiuti a tornare a vedere l'orizzonte, invece del pavimento d'asfalto bagnato in cui sono immersi i piedi.  


Niente battute su cosa un depresso ambirebbe a fare con un cutter, please!

Sfondiamolo. 




martedì 21 marzo 2017

Le cinque W della Falena - parte I

Nel giornalismo anglosassone spesso, per conferire struttura logica all'articolo, si impiega la cosiddetta "Regola delle cinque W", cioè:

  1. Who = chi?
  2. What = cosa?
  3. Where = dove?
  4. When = quando?
  5. Why = perché?
Ora, io non sono un giornalista, tantomeno anglosassone: non ne ho l'aspetto, né i modi, e parlo un inglese zoppicante come un pirata con la gamba di legno. 
Quindi mi perdonerete se, spiegando come mai ho deciso di raccontare il mio incontro/scontro con la Falena e la lotta senza quartiere che ne è seguita, non seguirò precisamente queste cinque, auree, regole espositive.

Quando ho annunciato a uno dei miei migliori amici - sottolineo, uno dei pochi in grado di farmi ridere di gusto anche nel momento peggiore dell'Arrembaggio Entomologico - la mia intenzione di aprire questo blog, mi ha domandato perché volessi fare una cosa tanto stupida, anche se lo avevo avvertito della mia ferma intenzione di mantenere l'anonimato.
Non è che il mio amico, d'ora in poi chiamato per brevità Mimmo er Distruttore, credesse che non fossi in grado di portare avanti questo progetto, ma aveva paura impattassi con la massa di idioti che quotidianamente vagolano su internet cercando di dimostrare che la caricatura di Crozza Napalm51 esiste veramente.
Il noto complottista Napalm51, colui che - informato dalle
letture dei reportage-denuncia di John Gambardine -
si dedica a denunciare sui social le peggiori
 malefatte di Big Pharma, dei rettiliani, del Club
Bilderberg e, ovviamente, dell'Associazione Italiana
Produttori di Autocaravan, rea di aver causato il terremoto
in Centro Italia frullando il terreno con dei minipimer. 

Dal momento che  a volte tendo ad avere l'inconsulta fiducia nell'umanità tipica dei Bovari del Bernese e dei Leonberger - cani di grossissima-issima taglia, convinti che la loro funzione nel mondo sia di dare e distribuire coccole da chiunque e a qualunque cosa - mi sono allegramente impipata del suo avvertimento.
Ovviamente dopo il post precedente, nel quale mi sono soffermata a descrivere come l'omeopatia per la depressione sia l'equivalente dello sciacquarsi un arto ormai in cancrena, ho iniziato a ricevere mail da alcuni squinternati e addirittura pubblicità di improbabili prodotti che promettono di fare miracoli su qualunque patologia (anche psichica), mediante fasce da fronte agli ioni d'argento.
E io che credevo che certe cose capitassero solo a MedBunker, mica a una mezza cartuccia come me. Mah!



Tornando all'argomento del post, qualcuno potrebbe domandarsi per quale accidenti di motivo una persona che, dopo essere stata da chihuahua per mesi, inizia a sentirsi meglio, voglia accollarsi il rischio di avere a che fare con spammer, individui a cui l'alternativismo ha bruciato i neuroni, e altre amenità (ultima ma non ultima quella di essere fraintesa e trattata da matta dagli ignoranti).
È vero: molti terapisti consigliano di tenere un diario terapeutico per ripercorrere i miglioramenti ed effettuare dell'introspezione, sempre utile a trovare le motivazioni dell'Attacco della Falena (e, spesso, del perché il Maledetto Lepidottero ha scelto proprio noi).

Il Buon Oscar: mio mito letterario.
Tuttavia, non ho la minima intenzione
di emularlo nella vita reale: quindi NON
finirò in galera per le chiappe di un bel
giovanotto aristocratico, e purtroppo
non diventerò mai un'autrice celebre.
Pazienza. 
Non dico di non aver tentato: infatti, tengo un diario personale - con lucchetto e decorazioni interne di fiori, damine vittoriane e via discorrendo: per chiarire, uno di quello che secondo il Buon Oscar bisogna sempre portare con sé per avere qualcosa di sensazionale da leggere in treno - ma non si tratta di un diario terapeutico.
Inoltre, secondo me quando stai ancora troppo male, il diario terapeutico non è una buona idea: già il depresso ha la tentazione di autocommiserarsi e di rimuginare sui suoi guai, mettere per iscritto le sue farneticazioni non è di giovamento. O, perlomeno, non lo era per me. 

Questo blog è nato con un proposito diversissimo: cioè quello di raccontare la mia personale esperienza, di cercare di divertire attraverso una cosa che - pur presentando aspetti tragicomici - non è stata per niente spassosa, e di affrontare lo Scatolone della Vergogna.
Cosa sia quest'ultimo è un discorso estremamente complicato, che cercherò di affrontare nella seconda parte di questo post; per il momento, e anche per snellezza espositiva, vorrei spiegare una cosa.

Prima di tutto, occorre tener presente che qui racconto cosa è successo a me, in prima persona. 
Principalmente, perché vorrei che tutti, nel momento in cui un giorno si rendono conto di ospitare un'enorme Falena assetata di vita, avessero le fortune che, pur nella sfiga, ho avuto io: qualcuno che ti ama, e qualcun altro pronto ad ascoltarti. 
Soprattutto, la sensazione di non essere soli: che un Generico Chiunque, in un NessunDove, è sbigottito, sbalestrato e sconvolto esattamente come te. 
In questo periodo, non ho conosciuto nessuno che abbia sofferto di depressione e che fosse disposto ad ammetterlo: non è facile uscire dallo Scatolone della Vergogna. Ma mi sarebbe piaciuto parlare con qualcuno che sapesse cosa stessi passando.
I pochi gruppi di auto-aiuto che ho trovato sul web erano ancora più deprimenti che cercare di sgominare la Falena da soli: si parlava solo di effetti collaterali di farmaci (e mai di quelli che hanno funzionato), di esperienze passate, conflitti genitoriali, un presente che è un orizzonte cupo e amorfo in cui dibattersi.
Non è così. Voglio sia chiaro. 
La Falena è un ospite scomodo, che puzza ben prima di tre giorni: ma è, appunto, solo un ospite. Si può buttare fuori. Magari, nel corso della vita, tornerà a farci visita: ma sapere che una volta sei riuscito a sfrattarla renderà più facile liberarsene in futuro. 
Per cui, in questo blog voglio spiegare come, e perché, ce l'ho fatta - o ce la sto facendo.
Ma è solo la mia esperienza: quelle degli altri possono e devono essere differenti. Non pretendo che quel che per me ha funzionato valga per tutti.
Non fornisco consigli medici, ma spiego perché è giusto rivolgersi a personale qualificato.
Non prescrivo farmaci o cure, bensì espongo la mia esperienza, chiarisco che per me hanno funzionato, e che  decidere se, quando e quali assumere, spetta a un dottore.
Quando sostengo che qualcosa non ha alcun effetto in senso assoluto è perché è scientificamente così: sono, semplicemente, dei dati di fatto.
Ogni Falena ha un aspetto diverso, come differenti sono le motivazioni per cui quell'insetto ha scelto proprio quell'individuo. Però, in comune, hanno tutte che fanno star male e possono diventare pericolose.

Non c'è vergogna nel chiedere aiuto: non sempre si può bastare a se stessi, e spesso nemmeno si deve provare a farlo. 
Se anche solo una persona, leggendo questo blog, si rendesse conto di questo, potrei dire di aver raggiunto un risultato pari alla traversata della Manica a nuoto.
Pari secondo me, eh. Non succeda che qualche nuotatore esperto  - che ha davvero attraversato la Manica a nuoto  - mi scriva mail de fuego per darmi della merdina sportiva. 
Lo so anche senza che me lo diciate. E se lo ribadite, vi scateno dietro Mimmo. 

venerdì 17 marzo 2017

Il Valzer dello Zoloft - Parte II

So che, di recente, va di gran moda cercare di curarsi con qualsiasi cosa non siano i farmaci; sono cosciente che, addirittura, è stata coniata l'espressione "medicina allopatica" per definire la scienza medica "ufficiale". Chiunque sia dotato di una cultura scientifica di base dovrebbe essere in grado di distinguere da sé cosa sia una bufala e cosa no: questo non è un blog di divulgazione scientifica, né mira ad esserlo. 
Per chi volesse crearsi davvero una cultura su tutte le bufale
mediche/farmacologiche degli ultimi trent'anni, più o meno
pericolose, clicchi qui per il blog di MedBunker. 
Per quanto mi concerne - e dovrebbe essere così per tutti, perché la scienza non è un'opinione - l'espressione "medicina allopatica" non ha senso. Sarebbe come dire "il vero zero", supponendo che ce ne sia anche uno falso. La Medicina è una. Punto.
Tutto il resto sono discipline complementari che a volte funzionano, la maggior parte delle volte no, e che non possono sostituirsi a una preparazione medica o psicoterapeutica specifica. 
Quando le une invadono la sfera propria dell'altra nella migliore delle ipotesi non succede niente, nella peggiore un gran casino (con conseguenze anche gravi). 
Questo non vuol dire che se qualcuno si sente meglio cercando di sgominare la Falena anche con l'ayurveda, la meditazione trascendentale, il kendo, la pesca d'altura o i massaggi pranoterapici non debba ricorrervi: le scelte terapeutiche sono personali.
Rendo noto però che solo queste "terapie alternative" non vi aiuteranno a sconfiggere la Falena. 


La depressione è una malattia.

Non c'è vergogna nel rivolgersi a uno specialista per curarla: prima di tutto un buono psicoterapeuta - e se ci si sente a disagio con il primo, va cambiato finché non se ne trova uno che quadra! - poi, se del caso, con un intervento farmacologico.
Lo psicoterapeuta non è laureato in medicina: l'intervento farmacologico va parametrato con uno psichiatra. Sono due figure simili che lavorano in tandem: lo psicoterapeuta è il pilota di Formula 1, mentre lo psichiatra è l'ingegnere che aspetta ai pit-stop. 
Dirò un'ovvietà, ma non si deve avere paura.
Se vi viene la bronchite ogni due per tre, vi mandano dallo pneumologo: magari, quest'ultimo vi manderà dall'immunologo per capire come mai avete una bronchite che non guarisce (se è perché fumate due pacchetti al giorno, personalmente vi manderei dall'idioziologo: se esistesse, sarebbe una specializzazione medica che non conosce crisi).
Se avete la depressione, vi rivolgete allo psicoterapeuta e allo psichiatra.
Punto. Non è un alibi, né qualcosa su cui serbare un segreto geloso come quello della formula della Coca-Cola.
La Falena è un fatto, non è una metafora. Non smetterà di esistere perché non si vede, e i livelli dei neurotrasmettitori non torneranno stabili grazie alle gocce omeopatiche.
Sul fatto che l'omeopatia (qui rappresentata casualmente
dal logo della più grande multinazionale produttrice di
preparati omeopatici; non sto nel modo più assoluto
denigrando la Boiron né i suoi prodotti: le sue tinture
madri fitoterapiche ad esempio sono ottime) non 
funziona potrei scrivere un romanzo della lunghezza del
Signore degli Anelli. Mi limito a ribadire che "curare"
la depressione, disturbo che può degenerare in modo
gravissimo, con delle gocce il cui principio attivo è così
diluito da contenere in pratica solo zucchero e
un po' d'alcool, è abbastanza incosciente. 


Anche se le prescrive lo psichiatra. Se costui vi propina una ricetta contenente qualche preparato omeopatico non unitamente ad altro farmaco, ma da solo, i casi sono due: o non avete niente di grave e state semplicemente passando un periodo difficile ma superabile (c'è anche l'ipotesi che possiate essere degli ipocondriaci), oppure il dottore è un incosciente. Cambiatelo. 



La prima persona in cui si deve avere fiducia, prima ancora che in se stessi - anche perché, dopo l'attacco della Falena, la "fiducia in se stessi" è qualcosa di lontano come l'affondamento del Titanic - è lo psicoterapeuta.

Quindi è indispensabile che ci sia un buon feeling, che stia simpatico, e che si senta che non ci giudica e ci si possa fidare ciecamente di lui/lei. 
Un terapista bravo permette di appoggiarsi a qualcuno che in certi momenti sarà la propria roccia, disponibile ad ascoltare i nostri guai senza venir trattati come cretini; cioè dicendoti cose tipo: "Pensa a Tizio che ha avuto un incidente/Caio che ha un cancro/Sempronio che ha fatto bancarotta, loro sì che hanno dei problemi!" (sottintendendo che tu sia una scamorza priva di spina dorsale). 
Uno degli ostacoli peggiori che ho riscontrato in persone che avevano bisogno dell'aiuto di uno specialista - anche non a causa dell'attacco della Falena - è il rifiuto di parlare dei fatti propri con un estraneo. 
Anche se il pudore è un sentimento umano comprensibile (che a mio modesto parere dovrebbe essere valorizzato in una società come la nostra, dove non si esita a mettere su Instagram foto di nudo che farebbero arrossire il Barone von Masoch) rimanere paralizzati da esso solo perché ci si vergogna di raccontare di stare male e perché a un dottore è abbastanza sciocco.
Il terapista non è Giancarlo Magalli: non
andrà a divulgare i vostri problemi a cani e porci.
E se lo fa,
potrete fargli causa e cavargli così tanti quattrini
da levargli il pelo. E anche il vizio.
Ma non preoccupatevi: lui/lei, lo sa. E non farà
sciocchezze. 
E il fatto che la Falena colpisca nel tenero, dove fa più male - il che richiede di svelare al terapista cose intime ed emozioni private, che preferiremmo tenere per noi o anche ignorare di avere - non rende meno sciocco questo pudore.
Una persona con le emorroidi, che la fanno soffrire tremendamente rendendogli impossibile stare seduta, se non va dal proctologo per pudore di mostrare il proprio ano a uno sconosciuto è stupida.
Uguale discorso deve valere anche per chi si accorge di essere stato arpionato dalla Falena. 


Personalmente, ho trovato un orecchio pronto e una capacità di comprensione superiore nella Dottoressa rispetto ai miei genitori e ai miei più cari amici (non però del mio fidanzato, il quale aveva sgamato istintivamente la Falena con fiuto degno di un segugio, e per questo sarà riempito di baci come, per l'appunto, un cucciolo di segugio). 

Il che è anche normale: se uno ha dei tremendi dolori allo stomaco che gli impediscono di mangiare a meno di sopportare dolori lancinanti, la mamma potrà solidarizzare e stargli vicino, ma solo il gastroenterolgo capirà che ha un'ulcera. 
Così, se il terapista suggerisce un consulto con lo psichiatra per un'eventuale terapia farmacologica, non bisogna scartare l'idea perché si hanno dei pregiudizi nei confronti degli psicofarmaci.
Di fianco a chi si imbottisce di antibiotici anche per un'unghia incarnita, sussiste un sempre più ampio zoccolo duro di individui che, come scritto sopra, rifiutano le terapie farmacologiche anche quando ce ne sarebbe bisogno. 
Le motivazioni sono le più varie, alcune anche assurde ("Non voglio arricchire Big Pharma: mi curo con limone e peperoncino!"; poi la tossetta si trasforma in polmonite e il SSN spende dieci volte tanto per curarti, e grazie al cazzo), ma sono pericolose  nel momento in cui si rifiuta un aiuto che potrebbe rendere la vita più facile per un pregiudizio. 


Questo non vuol dire che ognuno al minimo sospetto di ansia, o di sentirsi un po' giù, deve precipitarsi a imbottirsi di antidepressivi.

La scelta su quale antidepressivo prescrivere, in che dosaggio e se farlo, spetta allo psichiatra.
Inoltre, un antidepressivo che va bene per gli altri potrebbe non andare bene per sé: ogni caso è diverso. L'antidepressivo è come la pillola anticoncezionale: ce ne sono talmente tanti tipi, con effetti diversi, che chiunque ha la possibilità di trovare quello che sembra fatto apposta.
Se però ne avete bisogno e un antidepressivo vi invita per un valzer, non rifiutate. Potrete sempre smetterlo e passare a un altro: o anche ballare guancia a guancia con lui finché non finisce la musica.


***

Poiché questo è un blog in cui riferisco la mia esperienza, ora mi parlerò un po' addosso.
È ora di fare outing: all'inizio una delle cose a cui mi sono ribellata più pervicacemente era proprio l'idea di avere bisogno degli antidepressivi.
La mia ostilità aveva innanzitutto due motivi: il primo è che a causa degli attacchi di panico - che, ribadisco, non avevo idea cosa fossero - mi avevano dato dell'En, dicendomi che potevo usarlo all'occorrenza. 
Il generico dell'En. Anche se vi sembrerà
di stare meglio, assumerlo sotto attacco
della Falena è come urinare nella doccia.
Sembra una pensata astuta, ma ti stai
solo pisciando sui piedi. 
Ora: nel caso non lo sapeste, anche se l'ansia può essere una delle molteplici facce della Falena (e quella più evidente, specie se non ne hai mai sofferto prima), trattare solo quella non è mai una pensata astuta. Principalmente perché l'uso prolungato di ansiolitici alla fine concima solo la pianta della Falena. 
A lungo andare, infatti, gli ansiolitici peggiorano gli stati depressivi.
Siccome il mio medico condotto ovviamente non aveva riconosciuto la Falena all'Arrembaggio, credendo di aiutarmi mi aveva sganciato la ricetta dell'En senza specificare che un uso prolungato poteva privarmi ancor di più delle mie già risicate difese.
La mia esperienza con gli psicofarmaci era quindi fino a quel momento stata pessima.
Inoltre, la parola psicofarmaci a me - come a tutta la generazione la cui infanzia si è sviluppata tra la crisi dell'Unione Sovietica e l'esordio della Seconda Repubblica - evocava immagini deprimenti da disaffezionati della Generazione X e dive anni '60 suicide con overdose di barbiturici. 
Il fatto che, oggigiorno, nessun medico dotato di sale in zucca prescriva più barbiturici non era circostanza tale da poter vincere il mio pregiudizio.
Dopo alcune riflessioni, e lunghi discorsi della mia psichiatra a sostegno dei più moderni ritrovati della scienza (e dopo aver anche preso in prestito in biblioteca un manuale di farmacologia enorme e stazzonato nel tentativo di autoistruirmi sulla cosa), mi convinsi a provare con il Remeron. 
La Mirtazapina, principio attivo e generico del
Remeron. Anche se il nome è simpatico,
nel mio caso gli effetti collaterali immediati
sono stati così pericolosi da credere che
qualcosa complottasse per farmi ritornare
all'appuntamento perso con il tram. 
Negli ultimi vent'anni la ricerca sugli antidepressivi serotoninergici (così chiamati perché agiscono sul neurotrasmettitore "serotonina", meglio e impropriamente noto come "ormone della felicità") ha fatto passi da gigante.
Il che era anche ora, perché i primissimi antidepressivi erano nati come farmaco contro la tubercolosi, e gli effetti collaterali dei successivi triciclici devastanti. 
Tuttavia, sin dalla prima assunzione, nel mio caso il Remeron - benché farmaco recentissimo e presentante notevoli profili di tollerabilità - ha causato delle sequele negative abbastanza spaventose.
In poche parole, ho avuto una specie di sincope.
In pratica ho perso i sensi perché mi sono addormentata in piedi, terrorizzando le colleghe in ufficio e causando la necessità di farmi portar via con l'ambulanza. 
Quando mi sono risvegliata davanti allo sguardo azzurro dello psichiatra di guardia al Pronto Soccorso ho ringhiato: "Mai più!", allarmando gli astanti. 
Il simpatico Dottor Rasputin (lo chiamo così per distinguerlo dalla Dottoressa, anche se non aveva né barba bisunta né l'aria da santone pazzo, ma solo due occhi da husky), ascoltando la descrizione - per la verità abbastanza tragicomica - dei miei guai mentre mi tamponavo un bernoccolo grosso come un uovo di quaglia con una borsina del ghiaccio, ha buttato lì che nonostante tutto avevo un talento per le descrizioni cabarettistiche. Forse scrivendo tutto mi sarei sentita meglio.
"Questo è più fuori della gente che cura, dico io!", ho pensato, mandandolo mentalmente a quel Paese con gran gusto. Come vedete, forse tanto fuori non era: ma all'epoca spiattellare in giro quanta sfiga avevo avuto mi sembrava non solo non terapeutico, ma addirittura folle.
A questo punto, il mio fidanzato mi ha caricato a forza su un treno, mi ha costretto a prendere un venerdì libero - non lo facevo da mesi - e trascinato al mare. 
Qui poi ho sviluppato un formidabile eritema a causa di un'indigestione di vongole combinata con il sole di luglio (ennesima scarogna, ma sorvoliamo), concludendo il weekend dalla Guardia Medica. Ma questa è un'altra storia.

Tornata al lavoro, per puro caso una persona che anche solo per questo motivo merita i miei
Il mio salvagente era una piccola pastiglietta ovoidale e blu.
No, non quella pastiglietta blu, non fate i furbetti.
Lo sappiamo che quella lì è triangolare, e non
prendetela fingendo di essere depressi. 
ringraziamenti - anche se ha passato la maggior parte del tempo trascorso sotto la sua guida a rendermi la vita impossibile - se n'è venuta fuori dicendo: "Quando mio marito ha avuto l'infarto, io mi sono sentita meglio prendendo lo Zoloft".

Ora: premettiamo. Il Remeron è un farmaco molto più recente dello Zoloft, il quale è piuttosto vecchiotto come antidepressivo serotoninergico (è stato brevettato nel 1990 o giù di lì): molti si sono trovati benissimo con il primo e invece il secondo ha creato loro tantissimi problemi.
È quello che intendevo dire sopra dicendo che ognuno ha il suo salvagente, basta trovare quello giusto. Il mio era un po' datato, da prendere gradatamente, ma alla fine ho tenuto duro e ha funzionato.
Ho avuto fortuna, pur nella sfiga: alcuni casi - fortunatamente molto rari - sono estremamente refrattari a quasi tutte le terapie antidepressive, e devono ricorrere alle primissime formulazioni dei farmaci, tutte con effetti collaterali importanti.

Quindi fatevi un giro di valzer, se non con lo Zoloft, con il Cipralex, o qualche altra pillola.
Non sono caramelle della felicità: la Falena va affrontata soprattutto con le proprie forze. Ma a nessuno si può chiedere di correre una maratona senza borraccia. 

Ah, un'ultima cosa. Nessun antidepressivo funziona subito: ed è anche per questo che un sacco di gente si fa fregare dalla tentazione di usare prolungatamente gli ansiolitici. 
Prima che un antidepressivo faccia effetto devono passare tre settimane o una ventina di giorni, in cui potreste sentirvi un po' rincoglioniti, più assonnati del normale (o sentirvi più agitati!), avere una fame da lupi o una nausea da gestanti. Quando comincia a fare effetto, però, credo finirete per rivalutare tantissimo la categoria.

"Ciao! Ho sentito odore di salsiccia!"
Che, di fatto, è come il rottweiler. La maggior parte della gente lo considera un pericoloso e mordace mostro a quattro zampe, salvo poi rendersi conto che, con un padrone che gli vuole bene e lo ha socializzato fin da cucciolo, è un adorabile molossotto con lo sguardo che questua bistecca.


lunedì 13 marzo 2017

Il valzer dello Zoloft - Parte I

Per la verità ero incerta se scrivere questo post adesso, o aspettare piuttosto di aver spiegato per quali ragioni io abbia deciso di aprire questo blog e come mai ritenga che la mia esperienza possa essere utile (anche se, chiaramente, non ho la pretesa possa essere la stessa per tutti).
Ciò nonostante, mi sono resa conto di dover prima ancora fare una premessa fondamentale.




Avete presente quella terrificante pubblicità di una nota crema cosmetica in cuiuna melliflua voce maschile esordisce dicendo: "La cellulite è una malattia... con Somatoline, puoi combatterla!"?

Ecco, no. La cellulite - o meglio, pannicolopatia edemo-fibromatosa - non è una malattia. Nel modo più assoluto. È una degenerazione del tessuto lipidico sottocutaneo a cui sono geneticamente predisposte le donne di razza caucasica: circa l'80% degli adulti di sesso femminile appartenenti a questa razza ce l'hanno, e ha anche una funzione specifica e molto preziosa. 
In poche parole: un accumulo di grasso extra, che forma le caratteristiche pieghe e fossette su glutei, cosce e panzetta, torna utile nel caso arrivi un'epidemia di peste/carestia/crisi delle patate, perché serve a dare qualche chance in più di... be', di portare a casa la pelle.
Questo spiega anche per quale ragione una percentuale così elevata di donne caucasiche ne soffrano: è frutto della crudele selezione naturale. 
Se arriva la Peste Nera e ammazza un terzo della popolazione europea, causando spopolamento di intere zone e mazzi di morti per fame, le donne con qualche riserva in più nelle chiappe campano più a lungo e hanno anche la possibilità di riprodursi.
La Vera Cellulite, ossia una tremenda infezione
batterica sottocutanea. Come vedete,
il proprietario di questo braccio sì che ha qualcosa
di cui preoccuparsi.
Noialtre, che al massimo abbiamo l'ansia di
non avere il culo di Belen Rodriguez, no.
E francamente, dopo aver visto il braccio di 'sto poveraccio,
un po', a definire la "cellulite" (tra virgolette) una malattia,
mi vergognerei. 
Senza immaginare che, settecento anni dopo, quella che era una caratteristica genetica preziosissima si sarebbe trasformata nel babau dei bagnasciuga, ma tant'è...
Peraltro, una patologia che si chiama davvero cellulite esiste: ma di sicuro non si cura con una crema cutanea da settanta carte il barattolo, come potete evincere dalla foto a destra.
Un po' più grave di qualche fossetta sui fianchi, eh?


A questo mondo, migliaia di banalissimi disturbi sono trattati come malattie e "curati" di conseguenza, di solito con grande dispendio di denaro e risultati scarsini.


La menopausa, ad esempio: non si può accendere la televisione due secondi senza essere bombardati dalla pubblicità di pillole miracolose e integratori che promettono di eliminare ogni disturbo legato a quella che è, in definitiva, una fase della vita.
Be', donne e uomini, vi rivelo un incredibile segreto: salvo disturbi medicalmente riconosciuti, la menopausa non è una malattia. Neanche le mestruazioni, al netto di vere e proprie patologie ovariche, ormonali o a carico dell'endometrio.
Per fare esempi maschili, nemmeno la disfuzione erettile, dopo i settant'anni, è una patologia. 
Se vi succede con frequenza prima sì, quello è un disturbo che può essere a sua volta manifestazione di condizioni sottostanti anche gravi - soprattutto a carico del sistema circolatorio - quindi, gentlemen in sala, dovreste andare dall'andrologo.  
Ma direi che, dopo i settanta, se fate cilecca e non vi chiamate Charlie Chaplin potete anche evitare di preoccuparvi. 


Invece, ci sono malattie pericolose, invalidanti, che hanno serie conseguenze a carico di tutto l'organismo e impediscono di vivere bene, ma che - siccome non si vedono, o si camuffano con eccezionale abilità - non vengono generalmente trattate come tali.


L'attacco della Falena è una di queste.




La depressione è una malattia.

Stampiamocelo nel cervello a caratteri cubitali. 
Essere depressi significa essere ammalati.
Nessuno di noi vede i virus dell'influenza, ma nessuno si sognerebbe di dire che uno con l'influenza non sia malato. 
All'opposto: se uno si rompe un femore, nemmeno un cieco negherebbe il bisogno di cure di chi, per un mese o anche più, avrà problemi di deambulazione.
Ecco: uno che è stato aggredito dalla Falena ha bisogno di curarsi esattamente come una persona con un femore rotto, e deve essere fatto oggetto della medesima considerazione.
Essere depressi, d'altro canto, non significa "essere matti", e non è una condizione della quale si debba portare le stimmate per tutta la vita, vergognandosi come bari all'idea di ammettere di averla - e di essere, di conseguenza, bisognosi delle cure di cui sopra.
Se uno ha la polmonite, ha pudore di andare dal medico o al Pronto Soccorso?
No: è assurdo.
Altrettanto assurdo è nascondersi perché depressi, a prescindere dalle motivazioni per cui la Falena ti è saltata addosso. 
La Vergogna della Falena è argomento complesso, che merita un post a sé: mi limito qui ad affermare con forza un principio indispensabile da cui è nato tutto lo sforzo che profondo in questo blog.

Essere malati non è una colpa, e come non si può prendersela con il poveraccio che in pieno inverno ha il raffreddore, non è nemmeno giusto trattare il depresso come un appestato. Riconosco che avere a che fare con una persona attaccata dalla Falena può non essere divertente, e nemmeno particolarmente gradevole, ma la vita non è una sit-com scandita qui e lì da allegre risate registrate. 
Può accadere che persone che amate non siano al top della forma (per usare l'eufemismo del secolo), e il fatto che stiano male dentro o fuori è del tutto irrilevante: sì, anche se la società oggigiorno tende a considerare l'essere umano per varie ragioni poco performante utile quanto un'auto senza batteria. 
Da quando ho acquisito piena consapevolezza di cosa veramente mi faceva stare così male, la cosa che mi ha ferita di più è stato constatare l'assoluta mancanza di rispetto del mondo esterno per le debolezze umane.
Non so per quale ragione molti si comportino guardando al depresso come a un maiale a due teste, ma tant'è: nell'ipotesi più gentile, credo si possa dire sia perché molte persone hanno paura di trovarsi, una volta o l'altra, a soffrire loro stesse di un disturbo così invalidante. Perciò, esorcizzano il pericolo trattando l'ospite della Falena come uno che se l'è cercata (perché si comportino così verso il depresso e non, ad esempio, verso un evasore fiscale o un Presidente del Consiglio che va con le minorenni, non l'ho ancora capito).
Siccome però "l'ipotesi più gentile" la maggior parte delle volte, purtroppo, dà credito agli esseri umani di una complessità emotiva e intellettuale che non hanno, sono propensa a pensare che l'essere ignoranti come paracarri, arroganti e stronzi conduca alcuni a deridere i disabili e tantomeno a non avere riguardi per chi si trova soffrire di un malessere squisitamente psichico. 

Questa mancanza di rispetto esterna conduce molti ospiti della Falena a sviluppare un tratto ancora più pericoloso della cattiveria degli estranei  - che, e col senno di poi posso dirvelo francamente, merita pochissima considerazione anche quando gli "estranei" sfortunatamente sono il tuo capo - cioè la mancanza di rispetto per se stessi.
Simpatico esemplare di calyptra talichtri, la volgarmente detta
"Falena Vampiro".
Esempio perfetto di cosa fa la Falena se appena appena
le offrite il destro di svalutarvi come molti vi
inducono a fare. 
Non bisogna mai, nemmeno per un secondo, dimenticarsi di come si era, né cedere alla tentazione di autocommiserarsi per come si è diventati.
È difficile, e certe volte vorreste francamente seppellirvi in casa come Emily Dickinson... ma anche no.
L'ombra delle ali della Falena in certi momenti sarà enorme, e sembrerà di essere risucchiati sotto di essa, ma non è vero.
La Falena è un cazzo di insetto, pure brutto, e merita che ogni giorno voi vi guardiate allo specchio e vi ripetiate dove deve stare: avvolta in un batuffolo di ovatta, scaraventata nel water, con voi che le ghignate dietro pronti a tirare la catena.

Nella prossima puntata: perché ballare il valzer con lo Zoloft (o chi per lui), come scegliere il cavaliere, perché non rifiutare l'invito a ballare, e come accettare di avere bisogno di un giro di pista.



Ecco. NON quella pista.


venerdì 10 marzo 2017

La Falena ninja, ovvero di come fare "Ce l'ho, ce l'ho... manca!" coi sintomi - Parte II

Cito dalla sezione dedicata alle neuroscienze della Fondazione Umberto Veronesi (i commenti in blu elettrico fashion rappresentano le mie riflessioni all'epoca, circa all'inquasi):


I criteri del DSM-IV (Manuale diagnostico-statistico) per la diagnosi di depressione 
Occorre che 5 o più dei seguenti sintomi [figurati se ne ho così tanti, ma dai!] siano stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane [be', in fondo due settimane sono parecchie] rappresentino un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento [Come le lavatrici? C'è l'obsolescenza programmata causata da bug delle multinazionali degli elettrodomestici? E se bevo Bolt Due in Uno è conveniente, risparmio e ho l'ammorbidente?]; almeno uno dei sintomi dev’essere costituito da umore depresso o perdita di interesse o piacere [fin qui ci siamo].  
a) Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto o come osservato da altri [credo che piangere in continuazione sia sintomo di "umore depresso": ce l'ho] 
b) Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno [be', questo forse no.. il fatto che non mi interessi leggere, mangiare, guardare anime, camminare o comunque alzarmi dal letto e che una pila di graphic novel di Jiro Taniguchi si stia ammucchiando da mesi sul mio comodino non significa niente, vero?... ok, ce l'ho] 
c) Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell'appetito quasi ogni giorno [Va bene, è incontestabile, ce l'ho] 
d) Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno [se ce le ho tutte e due vale doppio? Cosa si vince?] 
e) Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno [mh. Il rallentamento motorio l'ho sempre avuto, almeno secondo la mia professoressa di Educazione Fisica... però la sensazione di stare perpetuamente per affrontare un esercito di zombie armata unicamente di cupcakes c'è. Costantemente] 
f) Affaticamento o mancanza di energia quasi ogni giorno [be', se passo costantemente le notti a contare pecore, pecari, impala e dugonghi invece di dormire è normale che sia affaticata...] 
g) Sentimenti di autosvalutazione oppure sentimenti eccessivi o inappropriati di colpa quasi ogni giorno [grazie a 'staminchia, se mi andava tutto a gonfie vele e non desideravo ogni giorno di smettere di essere/comportarmi da perfetta incapace, non starei leggendo questo articolo... giusto?] 
h) Diminuzione della capacità di pensare o concentrarsi, o difficoltà a prendere decisioni, quasi ogni giorno [in effetti, passare varie decine di minuti anche solo a stabilire quale piede mettere per terra dal materasso ogni mattina potrebbe rientrare al di sotto della categoria "difficoltà a prendere decisioni"] 
i) Ricorrenti pensieri di morte, ricorrente ideazione suicida senza elaborazione di piani specifici, oppure un tentativo di suicidio o l'elaborazione di un piano specifico per commettere suicidio [e qui non posso fingere che il mio vagheggiato tentativo di approccio col tram non c'entri. Ce l'ho]. 
Occorre inoltre che:
  • I sintomi causino disagio clinicamente significativo o un'alterazione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre importanti aree.
  • I sintomi non siano dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o a una condizione medica generale.
  • I sintomi non siano meglio giustificati da lutto, cioè dopo la perdita di una persona cara i sintomi persistono per più di due mesi o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.
La Dottoressa aveva avuto ragione, fin dal principio: la Falena mi aveva agguantato, e io non lo sapevo. Forse, in qualche modo, non avevo voluto saperlo, perché è difficile rendersi conto che nella propria vita si è insinuato un elemento potentemente estraneo sul quale si ha poco - se non nessun - controllo: ma questa consapevolezza è arrivata solo molti mesi dopo.
Lì per lì sono rimasta imbambolata come una cretina davanti allo schermo dell'Ipad di mia madre, con la sua inquietante custodia a gattini brillantinati che mi fissavano con uno sguardo che implorava la vivisezione del padrone, chiedendomi com'è che una presenza così palese e ingombrante si fosse impossessata della mia esistenza senza che me ne accorgessi.

La Falena si mimetizza meglio di un marine, e ha la
capacità,all'occorrenza, di inabissarsi nel sentiero di
Ho Chi Min come un vietcong con il marine
di cui sopra alle calcagna.
L'unica risposta che sono riuscita a a darmi è che, evidentemente, la Falena aveva le capacità di mimetismo di un ninja (sempre meglio che pensare di avere io l'acume dell'Ispettore Zenigata).
Chiariamo: la tentazione principale nel momento in cui smascheri la Falena è l'autoaccusa. 
Perché te lo avevano detto, perché non te ne sei accorto prima nonostante stessi male da tempo, perché "non ti sei curato" e, da ultimo, perché ti rendi conto che adesso dovrai cercare di uscirne e nel frattempo non sarai produttivo e affidabile come prima. 
Su quest'ultimo punto ho passato letteralmente settimane ad arrovellarmi: non potevo abbandonare lo stage, ma contemporaneamente non riuscivo a dare il massimo né a reggere bene la tensione; quest'ultima, vi assicuro, era notevole: chiaramente tutti si erano resi conto che avessi qualcosa che non andava, ma ritenevano anche che fossi effettivamente così, mentre invece si trattava dei sintomi dell'attacco della Falena. 
Inoltre, se già erano stati i problemi sul lavoro e l'approccio al mondo fuori dall'Università a costituire la miccia scatenante dell'attacco, trovarmi a dover dimostrare continuamente che no, non ero pazza - no, non ero una donnetta emotivamente instabile - no, non ero una patata bollente da scaricare a un altro capo sempre più recalcitrante, avevo solo bisogno di un po' di incoraggiamento e quiete  - no, non ero indegna dell'Alto Onore del posto che pure occupavo (gratis, perché all'idea di pagare lo stagista in Italia non siamo ancora pervenuti) non aveva avuto effetti positivi sulla mia situazione generale. 
Spingendomi sempre più all'abboccamento con il tram della scorsa puntata. 

***

Quando la Falena viene scoperta, non scappa. Sa benissimo di avere il coltello dalla parte del manico, e la semplice consapevolezza della sua presenza non può scalfirla in alcun modo.
La Falena in questo si comporta come tutte le malattie che affliggono gli esseri umani: sapere di avere un cancro al seno non lo farà regredire se decidi di non curarti (oppure di farlo con metodi alternativi da ciarlatano, quali una dieta veg/l'omeopatia/il metodo Stamina). 
Esattamente come sapere che ti è stata amputata una gamba non la fa ricrescere, e può fare di te un invalido, se non ti abitui a camminare, correre o guidare con la protesi. 
La Falena non rimane spaventata dall'abisso della piena coscienza, perché ci sguazza: se per crescere ha approfittato della tua ignoranza, il terrore, lo scoraggiamento, il senso di colpa che ti attanagliano quando ti rendi conto di essere stata catturata da lei sono solo fertilizzante in cui può ulteriormente prosperare. Mi spiego meglio...



Nel caso non si fosse capito, amo molto gli anime e i manga. Come tutta la mia generazione di bambini (nati tra la metà degli anni '80 e la metà degli anni '90) sono stata, in qualche misura, allevata dal tubo catodico. 

Un giorno forse parlerò di come l'adolescenza prolungata,
che impedisce oggi ai trentenni di avere un ruolo
sociale ben definito, consenta a una persona che si avvia
verso la metà della terza decade della propria vita
di passare pomeriggi d'ozio a guardare i cartoni animati,
nonché di accumulare qualcosa come milletrecento
volumi di fumetti... ma non è questo il giorno
Tra i molti prodotti partiti dalla terra del Sol Levante giunti ai patri lidi, c'era un anime oggigiorno piuttosto ignoto, ma che aveva la caratteristica interessante di essere ambientato nel Giappone del Periodo Edo, intitolato "L'invincibile Shogun". 
In questo cartone un nobile possidente, accompagnato dai suoi fidi servitori e da un cane, girava a piedi tutto il Paese a raddrizzare torti e sgominare nemici; praticamente una specie di Robin Hood nipponico che però non rubava niente (non ne aveva bisogno, essendo già ricco di suo, benché conciato come un poveraccio).
La cosa interessante era come il protagonista sconfiggeva i masnadieri che in ogni singola puntata opprimevano contadini, rapivano donzelle, rapinavano i viandanti e via discorrendo: semplicemente a un certo punto sfoderava un aggeggio con uno stemma e gridava "Inchinatevi davanti al nobile shogun Tokugawa Mitsukuni Mito!" (occasionalmente, anche dando a uno dei suoi servitori una specie di tergisudore chiamato "fascia della potenza" che conferiva a costui una forza sovrumana per caricare di mazzate i malviventi). 
Alla fine, in realtà quasi tutti i peggiori delinquenti affrontati dallo Shogun semplicemente deponevano le armi non appena venuti a sapere di trovarsi al cospetto di cotanto personaggio.
Tokugawa Mitsukuni Mito nell'atto di sconfiggere una banda di
criminali incalliti e assetati di sangue semplicemente
mostrando quant'è nobile e ricco.
C'è da domandarsi come mai questo anime non abba avuto
successo...
Ecco, la Falena non si comporta così.
Non fuggirà annichilita dalla vostra sconfinata forza interiore, né si lascerà sgomentare dalla vostra improvvisa illuminazione di starla ospitando, anche perché spesso quando raggiungete questa consapevolezza ha occupato così tanto spazio nell'economia della vostra mente da lasciarvi inerti davanti alla scoperta. 
Non gliene importa, così come non vi lascerà requie cercando di divorare tutto quello che siete stati, e potreste ancora essere.
Ospitare la Falena è come ospitare una tenia di venti metri. Può vivere dentro di te per mesi, se non anni, ma fatalmente inizia a consumarti e l'unico modo per liberarsene consiste nel trovare la testa ed eliminarla.
Nel frattempo, tuttavia, estrarre il corpo a pezzi fa sentire molto meglio, anche se trovare il vermifugo più adatto può non essere molto semplice. 
Per la verità, è facile tanto quanto sfuggire a una muta di pitbull affamati con addosso un vestito di würstel, ma - come ho spiegato nel primo post - quando si ha a che fare con la Falena "fare o non fare: non c'è provare".
Altrimenti lei potrebbe tentare di farti fuori, e ha gli strumenti per riuscirci.