venerdì 17 marzo 2017

Il Valzer dello Zoloft - Parte II

So che, di recente, va di gran moda cercare di curarsi con qualsiasi cosa non siano i farmaci; sono cosciente che, addirittura, è stata coniata l'espressione "medicina allopatica" per definire la scienza medica "ufficiale". Chiunque sia dotato di una cultura scientifica di base dovrebbe essere in grado di distinguere da sé cosa sia una bufala e cosa no: questo non è un blog di divulgazione scientifica, né mira ad esserlo. 
Per chi volesse crearsi davvero una cultura su tutte le bufale
mediche/farmacologiche degli ultimi trent'anni, più o meno
pericolose, clicchi qui per il blog di MedBunker. 
Per quanto mi concerne - e dovrebbe essere così per tutti, perché la scienza non è un'opinione - l'espressione "medicina allopatica" non ha senso. Sarebbe come dire "il vero zero", supponendo che ce ne sia anche uno falso. La Medicina è una. Punto.
Tutto il resto sono discipline complementari che a volte funzionano, la maggior parte delle volte no, e che non possono sostituirsi a una preparazione medica o psicoterapeutica specifica. 
Quando le une invadono la sfera propria dell'altra nella migliore delle ipotesi non succede niente, nella peggiore un gran casino (con conseguenze anche gravi). 
Questo non vuol dire che se qualcuno si sente meglio cercando di sgominare la Falena anche con l'ayurveda, la meditazione trascendentale, il kendo, la pesca d'altura o i massaggi pranoterapici non debba ricorrervi: le scelte terapeutiche sono personali.
Rendo noto però che solo queste "terapie alternative" non vi aiuteranno a sconfiggere la Falena. 


La depressione è una malattia.

Non c'è vergogna nel rivolgersi a uno specialista per curarla: prima di tutto un buono psicoterapeuta - e se ci si sente a disagio con il primo, va cambiato finché non se ne trova uno che quadra! - poi, se del caso, con un intervento farmacologico.
Lo psicoterapeuta non è laureato in medicina: l'intervento farmacologico va parametrato con uno psichiatra. Sono due figure simili che lavorano in tandem: lo psicoterapeuta è il pilota di Formula 1, mentre lo psichiatra è l'ingegnere che aspetta ai pit-stop. 
Dirò un'ovvietà, ma non si deve avere paura.
Se vi viene la bronchite ogni due per tre, vi mandano dallo pneumologo: magari, quest'ultimo vi manderà dall'immunologo per capire come mai avete una bronchite che non guarisce (se è perché fumate due pacchetti al giorno, personalmente vi manderei dall'idioziologo: se esistesse, sarebbe una specializzazione medica che non conosce crisi).
Se avete la depressione, vi rivolgete allo psicoterapeuta e allo psichiatra.
Punto. Non è un alibi, né qualcosa su cui serbare un segreto geloso come quello della formula della Coca-Cola.
La Falena è un fatto, non è una metafora. Non smetterà di esistere perché non si vede, e i livelli dei neurotrasmettitori non torneranno stabili grazie alle gocce omeopatiche.
Sul fatto che l'omeopatia (qui rappresentata casualmente
dal logo della più grande multinazionale produttrice di
preparati omeopatici; non sto nel modo più assoluto
denigrando la Boiron né i suoi prodotti: le sue tinture
madri fitoterapiche ad esempio sono ottime) non 
funziona potrei scrivere un romanzo della lunghezza del
Signore degli Anelli. Mi limito a ribadire che "curare"
la depressione, disturbo che può degenerare in modo
gravissimo, con delle gocce il cui principio attivo è così
diluito da contenere in pratica solo zucchero e
un po' d'alcool, è abbastanza incosciente. 


Anche se le prescrive lo psichiatra. Se costui vi propina una ricetta contenente qualche preparato omeopatico non unitamente ad altro farmaco, ma da solo, i casi sono due: o non avete niente di grave e state semplicemente passando un periodo difficile ma superabile (c'è anche l'ipotesi che possiate essere degli ipocondriaci), oppure il dottore è un incosciente. Cambiatelo. 



La prima persona in cui si deve avere fiducia, prima ancora che in se stessi - anche perché, dopo l'attacco della Falena, la "fiducia in se stessi" è qualcosa di lontano come l'affondamento del Titanic - è lo psicoterapeuta.

Quindi è indispensabile che ci sia un buon feeling, che stia simpatico, e che si senta che non ci giudica e ci si possa fidare ciecamente di lui/lei. 
Un terapista bravo permette di appoggiarsi a qualcuno che in certi momenti sarà la propria roccia, disponibile ad ascoltare i nostri guai senza venir trattati come cretini; cioè dicendoti cose tipo: "Pensa a Tizio che ha avuto un incidente/Caio che ha un cancro/Sempronio che ha fatto bancarotta, loro sì che hanno dei problemi!" (sottintendendo che tu sia una scamorza priva di spina dorsale). 
Uno degli ostacoli peggiori che ho riscontrato in persone che avevano bisogno dell'aiuto di uno specialista - anche non a causa dell'attacco della Falena - è il rifiuto di parlare dei fatti propri con un estraneo. 
Anche se il pudore è un sentimento umano comprensibile (che a mio modesto parere dovrebbe essere valorizzato in una società come la nostra, dove non si esita a mettere su Instagram foto di nudo che farebbero arrossire il Barone von Masoch) rimanere paralizzati da esso solo perché ci si vergogna di raccontare di stare male e perché a un dottore è abbastanza sciocco.
Il terapista non è Giancarlo Magalli: non
andrà a divulgare i vostri problemi a cani e porci.
E se lo fa,
potrete fargli causa e cavargli così tanti quattrini
da levargli il pelo. E anche il vizio.
Ma non preoccupatevi: lui/lei, lo sa. E non farà
sciocchezze. 
E il fatto che la Falena colpisca nel tenero, dove fa più male - il che richiede di svelare al terapista cose intime ed emozioni private, che preferiremmo tenere per noi o anche ignorare di avere - non rende meno sciocco questo pudore.
Una persona con le emorroidi, che la fanno soffrire tremendamente rendendogli impossibile stare seduta, se non va dal proctologo per pudore di mostrare il proprio ano a uno sconosciuto è stupida.
Uguale discorso deve valere anche per chi si accorge di essere stato arpionato dalla Falena. 


Personalmente, ho trovato un orecchio pronto e una capacità di comprensione superiore nella Dottoressa rispetto ai miei genitori e ai miei più cari amici (non però del mio fidanzato, il quale aveva sgamato istintivamente la Falena con fiuto degno di un segugio, e per questo sarà riempito di baci come, per l'appunto, un cucciolo di segugio). 

Il che è anche normale: se uno ha dei tremendi dolori allo stomaco che gli impediscono di mangiare a meno di sopportare dolori lancinanti, la mamma potrà solidarizzare e stargli vicino, ma solo il gastroenterolgo capirà che ha un'ulcera. 
Così, se il terapista suggerisce un consulto con lo psichiatra per un'eventuale terapia farmacologica, non bisogna scartare l'idea perché si hanno dei pregiudizi nei confronti degli psicofarmaci.
Di fianco a chi si imbottisce di antibiotici anche per un'unghia incarnita, sussiste un sempre più ampio zoccolo duro di individui che, come scritto sopra, rifiutano le terapie farmacologiche anche quando ce ne sarebbe bisogno. 
Le motivazioni sono le più varie, alcune anche assurde ("Non voglio arricchire Big Pharma: mi curo con limone e peperoncino!"; poi la tossetta si trasforma in polmonite e il SSN spende dieci volte tanto per curarti, e grazie al cazzo), ma sono pericolose  nel momento in cui si rifiuta un aiuto che potrebbe rendere la vita più facile per un pregiudizio. 


Questo non vuol dire che ognuno al minimo sospetto di ansia, o di sentirsi un po' giù, deve precipitarsi a imbottirsi di antidepressivi.

La scelta su quale antidepressivo prescrivere, in che dosaggio e se farlo, spetta allo psichiatra.
Inoltre, un antidepressivo che va bene per gli altri potrebbe non andare bene per sé: ogni caso è diverso. L'antidepressivo è come la pillola anticoncezionale: ce ne sono talmente tanti tipi, con effetti diversi, che chiunque ha la possibilità di trovare quello che sembra fatto apposta.
Se però ne avete bisogno e un antidepressivo vi invita per un valzer, non rifiutate. Potrete sempre smetterlo e passare a un altro: o anche ballare guancia a guancia con lui finché non finisce la musica.


***

Poiché questo è un blog in cui riferisco la mia esperienza, ora mi parlerò un po' addosso.
È ora di fare outing: all'inizio una delle cose a cui mi sono ribellata più pervicacemente era proprio l'idea di avere bisogno degli antidepressivi.
La mia ostilità aveva innanzitutto due motivi: il primo è che a causa degli attacchi di panico - che, ribadisco, non avevo idea cosa fossero - mi avevano dato dell'En, dicendomi che potevo usarlo all'occorrenza. 
Il generico dell'En. Anche se vi sembrerà
di stare meglio, assumerlo sotto attacco
della Falena è come urinare nella doccia.
Sembra una pensata astuta, ma ti stai
solo pisciando sui piedi. 
Ora: nel caso non lo sapeste, anche se l'ansia può essere una delle molteplici facce della Falena (e quella più evidente, specie se non ne hai mai sofferto prima), trattare solo quella non è mai una pensata astuta. Principalmente perché l'uso prolungato di ansiolitici alla fine concima solo la pianta della Falena. 
A lungo andare, infatti, gli ansiolitici peggiorano gli stati depressivi.
Siccome il mio medico condotto ovviamente non aveva riconosciuto la Falena all'Arrembaggio, credendo di aiutarmi mi aveva sganciato la ricetta dell'En senza specificare che un uso prolungato poteva privarmi ancor di più delle mie già risicate difese.
La mia esperienza con gli psicofarmaci era quindi fino a quel momento stata pessima.
Inoltre, la parola psicofarmaci a me - come a tutta la generazione la cui infanzia si è sviluppata tra la crisi dell'Unione Sovietica e l'esordio della Seconda Repubblica - evocava immagini deprimenti da disaffezionati della Generazione X e dive anni '60 suicide con overdose di barbiturici. 
Il fatto che, oggigiorno, nessun medico dotato di sale in zucca prescriva più barbiturici non era circostanza tale da poter vincere il mio pregiudizio.
Dopo alcune riflessioni, e lunghi discorsi della mia psichiatra a sostegno dei più moderni ritrovati della scienza (e dopo aver anche preso in prestito in biblioteca un manuale di farmacologia enorme e stazzonato nel tentativo di autoistruirmi sulla cosa), mi convinsi a provare con il Remeron. 
La Mirtazapina, principio attivo e generico del
Remeron. Anche se il nome è simpatico,
nel mio caso gli effetti collaterali immediati
sono stati così pericolosi da credere che
qualcosa complottasse per farmi ritornare
all'appuntamento perso con il tram. 
Negli ultimi vent'anni la ricerca sugli antidepressivi serotoninergici (così chiamati perché agiscono sul neurotrasmettitore "serotonina", meglio e impropriamente noto come "ormone della felicità") ha fatto passi da gigante.
Il che era anche ora, perché i primissimi antidepressivi erano nati come farmaco contro la tubercolosi, e gli effetti collaterali dei successivi triciclici devastanti. 
Tuttavia, sin dalla prima assunzione, nel mio caso il Remeron - benché farmaco recentissimo e presentante notevoli profili di tollerabilità - ha causato delle sequele negative abbastanza spaventose.
In poche parole, ho avuto una specie di sincope.
In pratica ho perso i sensi perché mi sono addormentata in piedi, terrorizzando le colleghe in ufficio e causando la necessità di farmi portar via con l'ambulanza. 
Quando mi sono risvegliata davanti allo sguardo azzurro dello psichiatra di guardia al Pronto Soccorso ho ringhiato: "Mai più!", allarmando gli astanti. 
Il simpatico Dottor Rasputin (lo chiamo così per distinguerlo dalla Dottoressa, anche se non aveva né barba bisunta né l'aria da santone pazzo, ma solo due occhi da husky), ascoltando la descrizione - per la verità abbastanza tragicomica - dei miei guai mentre mi tamponavo un bernoccolo grosso come un uovo di quaglia con una borsina del ghiaccio, ha buttato lì che nonostante tutto avevo un talento per le descrizioni cabarettistiche. Forse scrivendo tutto mi sarei sentita meglio.
"Questo è più fuori della gente che cura, dico io!", ho pensato, mandandolo mentalmente a quel Paese con gran gusto. Come vedete, forse tanto fuori non era: ma all'epoca spiattellare in giro quanta sfiga avevo avuto mi sembrava non solo non terapeutico, ma addirittura folle.
A questo punto, il mio fidanzato mi ha caricato a forza su un treno, mi ha costretto a prendere un venerdì libero - non lo facevo da mesi - e trascinato al mare. 
Qui poi ho sviluppato un formidabile eritema a causa di un'indigestione di vongole combinata con il sole di luglio (ennesima scarogna, ma sorvoliamo), concludendo il weekend dalla Guardia Medica. Ma questa è un'altra storia.

Tornata al lavoro, per puro caso una persona che anche solo per questo motivo merita i miei
Il mio salvagente era una piccola pastiglietta ovoidale e blu.
No, non quella pastiglietta blu, non fate i furbetti.
Lo sappiamo che quella lì è triangolare, e non
prendetela fingendo di essere depressi. 
ringraziamenti - anche se ha passato la maggior parte del tempo trascorso sotto la sua guida a rendermi la vita impossibile - se n'è venuta fuori dicendo: "Quando mio marito ha avuto l'infarto, io mi sono sentita meglio prendendo lo Zoloft".

Ora: premettiamo. Il Remeron è un farmaco molto più recente dello Zoloft, il quale è piuttosto vecchiotto come antidepressivo serotoninergico (è stato brevettato nel 1990 o giù di lì): molti si sono trovati benissimo con il primo e invece il secondo ha creato loro tantissimi problemi.
È quello che intendevo dire sopra dicendo che ognuno ha il suo salvagente, basta trovare quello giusto. Il mio era un po' datato, da prendere gradatamente, ma alla fine ho tenuto duro e ha funzionato.
Ho avuto fortuna, pur nella sfiga: alcuni casi - fortunatamente molto rari - sono estremamente refrattari a quasi tutte le terapie antidepressive, e devono ricorrere alle primissime formulazioni dei farmaci, tutte con effetti collaterali importanti.

Quindi fatevi un giro di valzer, se non con lo Zoloft, con il Cipralex, o qualche altra pillola.
Non sono caramelle della felicità: la Falena va affrontata soprattutto con le proprie forze. Ma a nessuno si può chiedere di correre una maratona senza borraccia. 

Ah, un'ultima cosa. Nessun antidepressivo funziona subito: ed è anche per questo che un sacco di gente si fa fregare dalla tentazione di usare prolungatamente gli ansiolitici. 
Prima che un antidepressivo faccia effetto devono passare tre settimane o una ventina di giorni, in cui potreste sentirvi un po' rincoglioniti, più assonnati del normale (o sentirvi più agitati!), avere una fame da lupi o una nausea da gestanti. Quando comincia a fare effetto, però, credo finirete per rivalutare tantissimo la categoria.

"Ciao! Ho sentito odore di salsiccia!"
Che, di fatto, è come il rottweiler. La maggior parte della gente lo considera un pericoloso e mordace mostro a quattro zampe, salvo poi rendersi conto che, con un padrone che gli vuole bene e lo ha socializzato fin da cucciolo, è un adorabile molossotto con lo sguardo che questua bistecca.


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