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venerdì 24 marzo 2017

Le cinque W della Falena - Parte II

Dopo aver chiarito oltre ogni ragionevole dubbio (o, almeno, lo spero) che questo blog riguarda solo la mia esperienza personale, e che per farsi aiutare in caso di Attacco di Falena occorre rivolgersi a dei professionisti seri, vorrei fare un triplo salto carpiato alla Hilary/Hikari sulla questione lasciata aperta nello scorso post, cioè lo Scatolone della
Hilary/Hikari e il suo Triplo Salto Carpiato! Evviva 
(semicit.)!
Vergogna e le sue implicazioni.

Punti fermi delle Puntate Precedenti i seguenti:



  1. La depressione è una malattia;
  2. La depressione può essere sconfitta;
  3. Non è un male rivolgersi a uno specialista, nel senso di...
  4. ... uno psichiatra per i farmaci;
  5. ... uno psicoterapeuta;
  6. Non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto e di ammettere che la Falena ci è zompata addosso. 
Tuttavia, nonostante gli inquietanti casi di cronaca di Tizio/a che in un raptus uccide il/la partner e poi leva la mano vindice su se medesimo, e le conseguenti campagne di Pubblicità Progresso che invitano i depressi a rivolgersi al Telefono Amico (o chi per lui), non vedo nessuno ansioso di piazzare dappertutto enormi tazebao dichiarando urbi et orbi di avere uno sgradito lepidottero come ospite. 
Non credo che sia per pudore, né per riservatezza, né per mancanza di "esibizionismo" (sentita con le mie orecchie: da quand'è che ammettere di avere un problema è diventato esibizionismo?): tra tutte le motivazioni per non voler raccontare di avere la depressione, le prime due sono umane e comprensibili. 
In realtà, però, non costituiscono esse stesse il motivo per cui molti non raccontano di avere un problema, nemmeno quando ce ne sarebbe bisogno. 
Un esempio di Vita Vissuta™.
"Perché ieri non sei venuto al giapponese per la festa di compleanno di Asdrubala? Ci è rimasta male!"
"Eh, cosa vuoi, mi dispiace ma non mi sentivo bene... avevo il raffreddore".
Laddove "raffreddore" significava, in realtà: "Ero a casa a mangiare un intero bidone di gelato al cioccolato con il cucchiaio da insalata, tentando di tirarmi su abbastanza da non seppellirmi in camera mia senza  lavarmi per l'intero weekend".
Questo dialogo - con retrotesto - è l'esatta rappresentazione delle conseguenze dello Scatolone della Vergogna.
Sì, sorvoliamo sul fatto che ci sono individui - come me, da
quando sto meglio - che sarebbero in grado di condire
un chirashi con le lacrime versate per la morte
del proprio pesce rosso... anch'esso finito
nel chirashi.
Certamente uno può aver pudore di ammettere di essere stato abbrancato dalla Falena, e secco come l'oro un sacco di individui cercheranno di autospiegarsi il castello di balle che vanno raccontando appiccicandoci l'etichetta "riservatezza". 
Ora, immaginando che la parola "raffreddore" nel discorso di cui sopra significasse davvero "rinite di origine virale", la frase improvvisamente smette di essere assurda e acquista un senso compiuto.
Uno con il naso che gli cola e spernacchia come una tromba non ha voglia di andare a scofanarsi di pesce crudo all'All You Can Eat, no?
L'obiezione ha perfettamente senso.
Se la depressione è una malattia, perché alla domanda sul forfait alla festa di compleanno di Asdrubala nessuno risponderebbe: "No, guarda, non ho lo spirito di venire a festeggiare questa sera. Rovinerei solo il divertimento a tutti: fate come se ci fossi e divorate i tavoli in salsa di soia anche per me"?
  1. Per non vedersi presi per pazzi;
  2. Perché, davanti a una risposta del genere, l'Amico-Tipo risponderebbe insistendo/dicendoti di non fare il musone/sostenendo che te la tiri/altre amenità.
Queste stesse circostanze si ripetono in qualsiasi circostanza della vita quotidiana che richieda contatto con il pubblico che possa essere reso difficile dalla presenza della Falena - cioè, a parte dormire e andare di corpo, praticamente tutte
I punti 1 e 2, infatti, sono la manifestazione interiore ed esteriore dello Scatolone della Vergogna, cioè quello che spinge le stazioni ospitanti della Falena a nascondere il proprio disturbo come nel 1700 tra gentiluomini si nascondeva di avere uno zio che barava alle carte.
Se, però, questo atteggiamento ha l'indubbio vantaggio di mettere al riparo dalle domande e dai giudizi - idioti - del pubblico, in un individuo generalmente fragile come il depresso porta alla tentazione di ammettere che sì. È vero: in me c'è qualcosa di anormale. Reagisco in modo anomalo. Sono matto/a.


No.

L'individuo clinicamente depresso non è matto; è malato. Non di una patologia psichica che causa davvero un'alterazione permanente della percezione di sé, o che altera in modo sensibile la personalità, però. 
Normalmente, a me, l'espressione "pazzo" fa imbestialire: perché è un termine colloquiale ignorante che fa una maccheronata gigante di una serie di disturbi anche gravi che colpiscono moltissimi esseri umani incolpevoli. E che, spesso, è usato anche in modo dispregiativo. 
Anche ammettendone l'uso da parte dell''"uomo della strada", tuttavia, uno che ospita un lepidottero omicida non è pazzo. Uno con un disturbo antisociale di personalità che ruba, stupra e vive ai margini della società è matto.
Uno schizofrenico non curato convinto, sotto l'influsso di allucinazioni, che il vicino voglia eliminarlo (e che per questo lo fa fuori lui) è pazzo.
Il pazzo può essere socialmente pericoloso.
Il depresso è solo un individuo bisognoso di cure, ma non fino a questo punto: e quando un attaccato dalla Falena fa una strage, è perché è diventato matto. Non lo era già da prima, e se avesse avuto accesso ad accudimento e cure probabilmente la Falena non lo avrebbe divorato da dentro a morsi così voraci da fargli desiderare di morire, e di portare con sé un  po' di compagnia. 
Perché non ha richiesto aiuto quando era il momento, e spesso non si è nemmeno accorto di essere stato attaccato dalla Falena?
A causa dello Scatolone della Vergogna.


Non fatevi ingannare dal suo aspetto mite. Se vi ci nascondente dentro,
uscirne sarà molto difficile.
Avete mai visto un gatto dormire in uno scatolone, e quanto è triste
quando deve emergere? Si sente protetto e al sicuro.
Ma se non ne venisse mai fuori, non potrebbe mangiare, giocare,
sgranchirsi le zampe, e schiavizzare i suoi umani con un solo sguardo,
come tipico di tutti i mici.
Il mondo è pieno di idioti, di cretini, e anche di amici o parenti benintenzionati ma ignoranti, che credono di fare il bene altrui con battute minimizzanti e dicendo ovvietà (di solito così esasperanti che, qualora i destinatari di cotali perle di saggezza li uccidesse, il giudice darebbe la legittima difesa). Indubbiamente, grazie al guscio creato dallo Scatolone della Vergogna, si evitano le loro intromissioni; ma alla fine, è come una prigione - l'ennesima - che cade addosso al depresso impedendogli di realizzare che basta qualcuno che aiuti a tornare a vedere l'orizzonte, invece del pavimento d'asfalto bagnato in cui sono immersi i piedi.  


Niente battute su cosa un depresso ambirebbe a fare con un cutter, please!

Sfondiamolo. 




venerdì 10 marzo 2017

La Falena ninja, ovvero di come fare "Ce l'ho, ce l'ho... manca!" coi sintomi - Parte II

Cito dalla sezione dedicata alle neuroscienze della Fondazione Umberto Veronesi (i commenti in blu elettrico fashion rappresentano le mie riflessioni all'epoca, circa all'inquasi):


I criteri del DSM-IV (Manuale diagnostico-statistico) per la diagnosi di depressione 
Occorre che 5 o più dei seguenti sintomi [figurati se ne ho così tanti, ma dai!] siano stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane [be', in fondo due settimane sono parecchie] rappresentino un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento [Come le lavatrici? C'è l'obsolescenza programmata causata da bug delle multinazionali degli elettrodomestici? E se bevo Bolt Due in Uno è conveniente, risparmio e ho l'ammorbidente?]; almeno uno dei sintomi dev’essere costituito da umore depresso o perdita di interesse o piacere [fin qui ci siamo].  
a) Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto o come osservato da altri [credo che piangere in continuazione sia sintomo di "umore depresso": ce l'ho] 
b) Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno [be', questo forse no.. il fatto che non mi interessi leggere, mangiare, guardare anime, camminare o comunque alzarmi dal letto e che una pila di graphic novel di Jiro Taniguchi si stia ammucchiando da mesi sul mio comodino non significa niente, vero?... ok, ce l'ho] 
c) Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell'appetito quasi ogni giorno [Va bene, è incontestabile, ce l'ho] 
d) Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno [se ce le ho tutte e due vale doppio? Cosa si vince?] 
e) Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno [mh. Il rallentamento motorio l'ho sempre avuto, almeno secondo la mia professoressa di Educazione Fisica... però la sensazione di stare perpetuamente per affrontare un esercito di zombie armata unicamente di cupcakes c'è. Costantemente] 
f) Affaticamento o mancanza di energia quasi ogni giorno [be', se passo costantemente le notti a contare pecore, pecari, impala e dugonghi invece di dormire è normale che sia affaticata...] 
g) Sentimenti di autosvalutazione oppure sentimenti eccessivi o inappropriati di colpa quasi ogni giorno [grazie a 'staminchia, se mi andava tutto a gonfie vele e non desideravo ogni giorno di smettere di essere/comportarmi da perfetta incapace, non starei leggendo questo articolo... giusto?] 
h) Diminuzione della capacità di pensare o concentrarsi, o difficoltà a prendere decisioni, quasi ogni giorno [in effetti, passare varie decine di minuti anche solo a stabilire quale piede mettere per terra dal materasso ogni mattina potrebbe rientrare al di sotto della categoria "difficoltà a prendere decisioni"] 
i) Ricorrenti pensieri di morte, ricorrente ideazione suicida senza elaborazione di piani specifici, oppure un tentativo di suicidio o l'elaborazione di un piano specifico per commettere suicidio [e qui non posso fingere che il mio vagheggiato tentativo di approccio col tram non c'entri. Ce l'ho]. 
Occorre inoltre che:
  • I sintomi causino disagio clinicamente significativo o un'alterazione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre importanti aree.
  • I sintomi non siano dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o a una condizione medica generale.
  • I sintomi non siano meglio giustificati da lutto, cioè dopo la perdita di una persona cara i sintomi persistono per più di due mesi o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.
La Dottoressa aveva avuto ragione, fin dal principio: la Falena mi aveva agguantato, e io non lo sapevo. Forse, in qualche modo, non avevo voluto saperlo, perché è difficile rendersi conto che nella propria vita si è insinuato un elemento potentemente estraneo sul quale si ha poco - se non nessun - controllo: ma questa consapevolezza è arrivata solo molti mesi dopo.
Lì per lì sono rimasta imbambolata come una cretina davanti allo schermo dell'Ipad di mia madre, con la sua inquietante custodia a gattini brillantinati che mi fissavano con uno sguardo che implorava la vivisezione del padrone, chiedendomi com'è che una presenza così palese e ingombrante si fosse impossessata della mia esistenza senza che me ne accorgessi.

La Falena si mimetizza meglio di un marine, e ha la
capacità,all'occorrenza, di inabissarsi nel sentiero di
Ho Chi Min come un vietcong con il marine
di cui sopra alle calcagna.
L'unica risposta che sono riuscita a a darmi è che, evidentemente, la Falena aveva le capacità di mimetismo di un ninja (sempre meglio che pensare di avere io l'acume dell'Ispettore Zenigata).
Chiariamo: la tentazione principale nel momento in cui smascheri la Falena è l'autoaccusa. 
Perché te lo avevano detto, perché non te ne sei accorto prima nonostante stessi male da tempo, perché "non ti sei curato" e, da ultimo, perché ti rendi conto che adesso dovrai cercare di uscirne e nel frattempo non sarai produttivo e affidabile come prima. 
Su quest'ultimo punto ho passato letteralmente settimane ad arrovellarmi: non potevo abbandonare lo stage, ma contemporaneamente non riuscivo a dare il massimo né a reggere bene la tensione; quest'ultima, vi assicuro, era notevole: chiaramente tutti si erano resi conto che avessi qualcosa che non andava, ma ritenevano anche che fossi effettivamente così, mentre invece si trattava dei sintomi dell'attacco della Falena. 
Inoltre, se già erano stati i problemi sul lavoro e l'approccio al mondo fuori dall'Università a costituire la miccia scatenante dell'attacco, trovarmi a dover dimostrare continuamente che no, non ero pazza - no, non ero una donnetta emotivamente instabile - no, non ero una patata bollente da scaricare a un altro capo sempre più recalcitrante, avevo solo bisogno di un po' di incoraggiamento e quiete  - no, non ero indegna dell'Alto Onore del posto che pure occupavo (gratis, perché all'idea di pagare lo stagista in Italia non siamo ancora pervenuti) non aveva avuto effetti positivi sulla mia situazione generale. 
Spingendomi sempre più all'abboccamento con il tram della scorsa puntata. 

***

Quando la Falena viene scoperta, non scappa. Sa benissimo di avere il coltello dalla parte del manico, e la semplice consapevolezza della sua presenza non può scalfirla in alcun modo.
La Falena in questo si comporta come tutte le malattie che affliggono gli esseri umani: sapere di avere un cancro al seno non lo farà regredire se decidi di non curarti (oppure di farlo con metodi alternativi da ciarlatano, quali una dieta veg/l'omeopatia/il metodo Stamina). 
Esattamente come sapere che ti è stata amputata una gamba non la fa ricrescere, e può fare di te un invalido, se non ti abitui a camminare, correre o guidare con la protesi. 
La Falena non rimane spaventata dall'abisso della piena coscienza, perché ci sguazza: se per crescere ha approfittato della tua ignoranza, il terrore, lo scoraggiamento, il senso di colpa che ti attanagliano quando ti rendi conto di essere stata catturata da lei sono solo fertilizzante in cui può ulteriormente prosperare. Mi spiego meglio...



Nel caso non si fosse capito, amo molto gli anime e i manga. Come tutta la mia generazione di bambini (nati tra la metà degli anni '80 e la metà degli anni '90) sono stata, in qualche misura, allevata dal tubo catodico. 

Un giorno forse parlerò di come l'adolescenza prolungata,
che impedisce oggi ai trentenni di avere un ruolo
sociale ben definito, consenta a una persona che si avvia
verso la metà della terza decade della propria vita
di passare pomeriggi d'ozio a guardare i cartoni animati,
nonché di accumulare qualcosa come milletrecento
volumi di fumetti... ma non è questo il giorno
Tra i molti prodotti partiti dalla terra del Sol Levante giunti ai patri lidi, c'era un anime oggigiorno piuttosto ignoto, ma che aveva la caratteristica interessante di essere ambientato nel Giappone del Periodo Edo, intitolato "L'invincibile Shogun". 
In questo cartone un nobile possidente, accompagnato dai suoi fidi servitori e da un cane, girava a piedi tutto il Paese a raddrizzare torti e sgominare nemici; praticamente una specie di Robin Hood nipponico che però non rubava niente (non ne aveva bisogno, essendo già ricco di suo, benché conciato come un poveraccio).
La cosa interessante era come il protagonista sconfiggeva i masnadieri che in ogni singola puntata opprimevano contadini, rapivano donzelle, rapinavano i viandanti e via discorrendo: semplicemente a un certo punto sfoderava un aggeggio con uno stemma e gridava "Inchinatevi davanti al nobile shogun Tokugawa Mitsukuni Mito!" (occasionalmente, anche dando a uno dei suoi servitori una specie di tergisudore chiamato "fascia della potenza" che conferiva a costui una forza sovrumana per caricare di mazzate i malviventi). 
Alla fine, in realtà quasi tutti i peggiori delinquenti affrontati dallo Shogun semplicemente deponevano le armi non appena venuti a sapere di trovarsi al cospetto di cotanto personaggio.
Tokugawa Mitsukuni Mito nell'atto di sconfiggere una banda di
criminali incalliti e assetati di sangue semplicemente
mostrando quant'è nobile e ricco.
C'è da domandarsi come mai questo anime non abba avuto
successo...
Ecco, la Falena non si comporta così.
Non fuggirà annichilita dalla vostra sconfinata forza interiore, né si lascerà sgomentare dalla vostra improvvisa illuminazione di starla ospitando, anche perché spesso quando raggiungete questa consapevolezza ha occupato così tanto spazio nell'economia della vostra mente da lasciarvi inerti davanti alla scoperta. 
Non gliene importa, così come non vi lascerà requie cercando di divorare tutto quello che siete stati, e potreste ancora essere.
Ospitare la Falena è come ospitare una tenia di venti metri. Può vivere dentro di te per mesi, se non anni, ma fatalmente inizia a consumarti e l'unico modo per liberarsene consiste nel trovare la testa ed eliminarla.
Nel frattempo, tuttavia, estrarre il corpo a pezzi fa sentire molto meglio, anche se trovare il vermifugo più adatto può non essere molto semplice. 
Per la verità, è facile tanto quanto sfuggire a una muta di pitbull affamati con addosso un vestito di würstel, ma - come ho spiegato nel primo post - quando si ha a che fare con la Falena "fare o non fare: non c'è provare".
Altrimenti lei potrebbe tentare di farti fuori, e ha gli strumenti per riuscirci. 



lunedì 6 marzo 2017

La Falena ninja, ovvero di come fare "Ce l'ho, ce l'ho... manca!" coi sintomi - Parte I

Il tram era verde e bianco, e si dirigeva verso l'attraversamento pedonale alla velocità di crociera di Usain Bolt; la borsa mi segava la spalla, e sentivo le palpebre pesanti.
Il vestito che indossavo mi si allargava intorno, mentre l'anno prima sarebbe stato (com'era giusto) aderente. Ogni giorno, sforzandomi per uscire dal pigiama, mi pareva di avere addosso la pelle di un vecchio elefante, che non ero io.
Nel giro di mezz'ora avevo saputo di dover lasciare l'ufficio dove mi trovavo bene e svolgevo un mansionario interessante, per trasferirmi in un altro settore di cui non sapevo nulla e il cui direttore aveva fama d'essere un Cerbero; dopo un fugone nel bagno, diventato il mio ultimo bastione di difesa dove rifugiarmi per non farmi vedere triste e ogni volta che mi assalivano gli attacchi di calore che mi facevano arrossare la faccia prima di ogni pianto, mi è squillato il telefono.
Uno dei miei migliori amici era improvvisamente deceduto. 





"Ding, ding!".

Dovevo attraversare l'incrocio, col semaforo rosso per i pedoni. Il tram arrivava senza fermarsi e senza rallentare, come ogni mezzo su rotaia.
Ho alzato la gamba. Pesava come la borsa sulla mia spalla.
In fondo, le ruote non si vedevano neanche, e probabilmente non avrei sentito niente. Perché comunque a parte il peso, dappertutto, non sentivo più niente da un sacco. 
All'improvviso mi sono sentita afferrare alle spalle.
"Faccia attenzione, signorina!"
"Mi scusi" ho sorriso. "Sono molto sbadata".
Porco cazzo. Ho un problema.
***

Ammettiamolo: quando una persona comincia con perdere peso e capelli, può anche credere semplicemente di essere un po' stressata. Peraltro, io ho sempre avuto la tendenza ad essere ipertiroidea, quindi il peso che fa yo-yo verso il basso non è mai stata una faccenda granché preoccupante.
Quando alla perdita di peso si sono aggiunti disturbi del sonno mai avuti prima (dall'insonnia ai terrori notturni, a sogni inquietanti in cui orde di nutrie antropofaghe cercavano di stanarmi da una trincea in cui io e i miei genitori aspettavamo la morte), ho pensato fossero gli strascichi della fatica da laurea.
Poi ho iniziato a smettere di truccarmi: ma mi svegliavo al mattino presto con fatica per fare cinquanta chilometri da pendolare, quindi poteva anche starci.
Lentamente ma inesorabilmente la "fatica" di alzarsi ha iniziato ad assomigliare allo sforzo necessario alla scalata del Nanga Parbat. Dalla parete nord. 
Anche altre cose sono andate in vacanza: l'ispirazione, la fame, la capacità di godersi una serata tranquilla davanti a uno sparatutto. Non vi sto a descrivere cos'è successo a generi di appetiti non collegati al cibo, ma ammetto onestamente che in confronto il panda soffre di ipertrofia sessuale incontrollata. 

La panacea universale. Ne ho finite tre confezioni,
prima di accorgermi che non serviva a un accidente
tranne che a farmi esalare rutti al gusto di sangue
rigurgitato. 
In compenso, a farmi compagnia erano arrivati tanti simpatici amici: calvizie a chiazze, crisi di pianto e strani momenti in cui mi sentivo assalire da vampate di caldo, seguite da una specie di fischio nelle orecchie e una sensazione di terrore paralizzante (che mi impediva di respirare bene). 
Non avevo mai avuto attacchi di panico prima: credevo fosse qualcosa legato alla pressione bassa, che si poteva curare con integratori a base di ferro e pappa reale. 
Quest'ultimo rimedio in particolare era pubblicizzato da mio padre con convinzione: ogni mattina, prima di iniziare i suoi assurdi esercizi ginnici, a digiuno me ne somministrava un cucchiaio abbondante. 

Mia madre, invece, si era persuasa che la mia generale apatia, mancanza di voglia di fare tranne dormire tutto il giorno e stare sveglia di notte a guardare per aria, fossero frutto sicuramente di un qualche squilibrio diagnosticabile con esami ematici e radiografie alla tiroide.
Lui sì che ha capito tutto dalla vita: dorme, mangia,
casa sua è identificata unicamente nel suo letto,
e il resto del tempo occasionalmente tromba. Ma
a bassa intensità, ché deve digerire. 
Dopo essermi fatta succhiare tanto sangue da poterci mantenere Dracula, Carmilla e l'intera famiglia di vampiri sbrilluccicosi di Twilight, non è emerso niente di diverso dal mio profilo patologico abituale: non avevo anticorpi bassi, ferro sotto i tacchi, o una devastante malattia linfatica tale da crearmi il desiderio di adottare lo stile di vita del koala. 
Oddio, ci sarebbero mille e uno motivi per voler adottare lo stile di vita del koala (i principali elencati sotto la foto a destra), ma sicuramente nel mio sangue non ce n'era alcuna traccia.

Nel frattempo, non avevo mollato le sedute dalla Dottoressa, la quale insisteva dicendo che la Falena mi era saltata addosso.
Mi aveva consigliato anche di rivolgermi a un professionista, per farmi dare un aiuto farmacologico ben ponderato.
Ostinatamente, io continuavo a rifiutarmi: non importava che i miei avessero cacciato centinaia di cocuzze in integratori, complessi multivitaminici, improbabili diete a base di crostacei (che adoro ma che, misteriosamente, non avevo alcun desiderio di mangiare) e succhi di verdura, e soprattutto la pappa reale.
No pappa reale, no party. 
Intanto, un altro compagno ha iniziato a farsi strada accanto a me: fino a quel momento praticamente uno sconosciuto, ma che ora ogni due minuti saltava fuori dalla mia tasca.

Non so quanti di voi - voi chi?, tra l'altro: io continuo a rivolgermi a un invisibile pubblico di compagni di avventura attaccati dalla Falena, o che sono incuriositi dalla connessione tra i San Bernardo, i ninja e l'entomologia d'assalto... - siano nati negli anni '80, o primissimi anni '90, ma la gran parte delle infanzie delle ragazze (e di molti ragazzi: potete anche ammetterlo,  ormai siete adulti, anche se Poletti non se ne accorge) è stata dominata da lei:


La fantastica, cazzutissima, megagnifica Lady Oscar
Protagonista di un cartone animato e di un fumetto che ha persuaso definitivamente la mia generazione della superiorità intellettuale dei giapponesi, aveva tutto dalla vita: capelli lunghi e biondi, una carriera figa, un uomo che le moriva dietro, e soprattutto nessun maschio doveva mai correre a salvarla. 
Non ne aveva bisogno: che fossero assassini rivoluzionari prezzolati, duchi con l'hobby del golpe o ladri di gioielli, lei prontamente accorreva con la sua fida spada e la sua antidiluviana pistola ad avancarica e faceva a tutti il culo a strisce.
Come corollario, la storia aveva anche altri personaggi: alcuni positivi, altri negativi, altri con la profondità intellettuale di un sarago immerso in una chiazza di petrolio iracheno, e una, in particolare, così irritante e insopportabile da farmi tifare per Robespierre unicamente nella speranza che il Terrore ne facesse piazza pulita. Rosalie Lamorliére. Unico contributo alla trama di quest'Anticristo biondo ambulante era:
Rosalie con la sua tipica espressione da Dawson Leery
intenta nella sua attività preferita: piangere sul
latte da LEI stessa versato. 
  1. Creare insormontabili problemi alla protagonista, che doveva poi rischiare la pelle per tirarsene fuori;
  2. Piangere sul punto 1.
Ecco: con mio sconcerto, in quei giorni Rosalie ero io.
Una bambina tornava a casa dando la mano a suo nonno? Piangevo.
Mia nonna mi preparava l'ossobuco coi funghi? Piangevo.
Il mio capo mi trattava come un'incapace senza motivo? Piangevo.
Facendo zapping incappavo in una vecchia puntata di "Detective Conan"? Piangevo.
Per un qualche motivo mi trovavo divorata da una tensione terribile? Piangevo.
Uno schifo. Non mi riconoscevo più. 

Una cosa interessante è che le crisi di Rosalite mi venivano soprattutto al mattino. Alla sera ero troppo stanca e abbattuta per piangere, ma in qualche modo ne avevo anche meno bisogno perché un giorno in fondo era alle mie spalle. 

Sprizzavo allegria da ogni poro.

***

Nella prossima puntata: sintomi da manuale, il giochino delle cinque persistenze, il ninja smascherato dall'Invincibile Shogun, e l'inizio dell'attacco col DDT. Ma forse no.