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mercoledì 19 aprile 2017

Analfabetismo funzionale & altre amenità - Parte I

Orso, simpatico nome medioevale, descrittivo di
un peloso, goffo animale, dedito alla letargia
al divoramento di salmoni, e grattarsi la schiena
contro i tronchi: insomma, il mio fidanzato.
Chiedo umilmente perdono per il periodo di silenzio: mi sono goduta la mia vita privata, le rane fritte e l'agnello a Pasqua, il mio fidanzato (da qui in poi noto come Orso), e altre cose che la Falena mi ha fisicamente impedito di apprezzare per mesi.
A impedirmi fisicamente di aggiornare il blog come avrei voluto, inoltre, è stato un Furbone Astutissimo™ che, evidentemente ritenendosi offeso mortalmente dalle mie asserzioni sull'inutilità di trattare la Falena con omeopatia e fiori di Bach, ha ben pensato (nell'ordine):


  1. di scrivermi un commento ingiurioso, il primo e unico ricevuto da questo blog (prontamente eliminato senza neanche tentare la replica);
  2.  vista la mala parata, di tempestarmi di mail in cui mi ha accusato di ogni possibile nefandezza, dallo squartamento di animali vivi allo scippo alle vecchiette (sto un po' colorendo l'aneddoto per renderlo simpatico, visto che personalmente non lo è stato per niente);
  3. quando le mail sono finite diritte nel cestino - cioè dopo parecchi giorni, visto che io raramente controllo l'indirizzo collegato a questo blog e non me n'ero accorta - e il Furbone Astutissimo™ inserito nella cartella SPAM, quest'individuo (nel cui nickname era presente la parola VEG a caratteri cubitali) ha ben pensato di tentare di forzare il mio indirizzo da PESCARA, causandone il blocco, la necessità di contattare Gmail, il cambio di password e una serie di operazioni che mi hanno causato un certo disagio, tale da tenermi lontana da questi lidi per un po'.
Tralasciando il dubbio gusto di tormentare un'estranea dicendole di tutto e di più senza alcun motivo - non mi resta che pensare che questo VEGFUrbone Astutissimo™ risenta grandemente degli effetti neurologici della privazione di vitamina B12 - sento che occorre ribadire alcuni punti che, evidentemente, non erano apparsi sufficientemente chiari nel precedente post.


1) Analfabetismo funzionale all'attacco
Negli anni scorsi, è salito alle luci - fosche, in questo caso - della ribalta un fenomeno abbastanza inquietante.
In parole povere, pare che gli italiani siano uno dei popoli al mondo con la più alta percentuale di analfabeti funzionali in proporzione alla popolazione scolarizzata.
Un analfabeta funzionale è un soggetto che, pur essendo del tutto in grado di leggere e scrivere, ha dei problemi nell'interpretazione del testo
In parole povere: non capisce un acciderba di niente di quello che gli viene messo sotto il naso, prestando fede alle peggiori bufale, incazzandosi come una iena per cose che non esistono in quanto ha frainteso dati esposti anche in linea comprensibile, e dimostrandosi in genere stupido come una zappa (agli occhi di chi non appartiene al 47% di analfabeti funzionali).
Persino LUI ha dei momenti di analfabetismo funzionale.
Immaginatelo leggere la sceneggiatura di Downton Abbey, o
un romanzo di Danielle Steel, e ci siete.
Tutti siamo in qualche misura analfabeti funzionali, almeno occasionalmente: io lo sono, ad esempio, davanti ai manuali di ingegneria quando spiegano il funzionamento di qualsiasi congegno meccanico più complesso della carrucola. Ammettere di non essere in grado di comprendere qualcosa - perché non ci interessa, o in quanto non si ha la preparazione necessaria - non è un crimine; anzi, è umano e lodevole.

Ciò nonostante, il web è un luogo oscuro, e pieno di terrori: alcuni di questi sono costituiti, per l'appunto, dagli analfabeti funzionali che si appostano nell'ombra cercando qualche cosa per la quale indignarsi.
Siccome queste persone non si indignano mai per cause che meriterebbero un qualche dispendio di energia, trovano molto più semplice prendersela con un blog (pochissimo visitato e ancor meno commentato) di una persona che vuole semplicemente condividere la propria esperienza con un fenomeno ostico quanto comune come la depressione.
Questo perché VEGFurbone Astutissimo™ non ha evidentemente compreso il messaggio principale, che ripeterò per comodità espositiva a lettere cubitali:

Questo blog rappresenta solo la mia esperienza personale, non intende parlare per altri né fornire consigli clinici o farmacologici.
Le uniche informazioni di tal genere qui riportate hanno solide basi scientifiche, riconosciute dalla comunità medica e psichiatrica, e potrebbero essere confermate da qualunque dottore dotato di sale in zucca.

Ciò detto, passiamo al punto 2.

2)Perché l'omeopatia non ha basi scientifiche (e neanche i fiori di Bach)
L'omeopatia è una pseudomedicina inventata a cavallo tra il XVIII e XIX secolo da un medico tedesco che - in un periodo nel quale si ignoravano le cause patologiche di malattie e infezioni - aveva pensato che (semplifico estremamente, le informazioni più approfondite le potete trovare qui):

  1. Diluendo oltre la 200.000 volta una qualsiasi sostanza nell'acqua;
  2. Sciacquando un contenitore con quest'acqua e poi
  3. Sbattendo il contenitore contro una Bibbia e poi
  4. Sciacquando nuovamente il contenitore;
l'acqua conservasse una sorta di "memoria" della sostanza che c'era all'inizio. Essa veniva poi nebulizzata su zucchero, o incorporata in altre sostanze idroalcoliche, et voilà: secondo il principio del "simile che cura il simile", in questo modo si sarebbe trattato il disturbo (nel caso dell'ansia, ad esempio, usando un preparato omeopatico con caffeina).

Se vi sembrano stronzate, è perché lo sono: il medico tedesco di cui sopra lavorava in un periodo in cui spesso la medicina ufficiale causava danni peggiori dei disturbi che andava a cercare di curare, e per cui comunque non erano disponibili rimedi efficaci. Meglio l'acqua che niente, insomma. 
Oltretutto, esiste un principio chimico fondamentale secondo il quale, oltre una ennesima diluizione, della sostanza disciolta nel solvente (in questo caso, l'acqua) non resta più niente.

Secondo me, anche quando si tratta di curare un comune raffreddore o una botta presa in palestra, piuttosto che spendere inutilmente euro in rimedi che non rimediano a niente, è meglio conservare il denaro per vere medicine (da assumere se si è realmente malati); tuttavia, pur reputando l'omeopatia una cosa che definire pseudoscienza è farle un complimento, non sono contraria a coloro che acquistano rimedi di questo genere.

Ognuno a questo mondo ha il sacro diritto di fare quel che vuole della propria salute: e se alcuni credono di star meglio imbottendosi di sfere di zucchero a mille euro il kg, devono avere il diritto di farlo (non di farsi rimborsare 'ste cose dal SSN, ma questa è un'altra questione).
Un sacco di gente legge e crede all'Oroscopo. Pur reputandola una
cosa senza alcun fondamento astronomico o scientifico, non disprezzo
chi si fida delle previsioni astrali: semmai chi sfrutta le credenze
altrui a fini di lucro (con la sola eccezione di Masami Kurumada,
creatore dei Cavalieri  dello Zodiaco). 
L'esporre scientificamente come mai una cosa non funziona, non implica disprezzare coloro che credendoci ne fanno uso.
Non c'è ragione di tempestarmi di mail facendo insinuazioni di bassa lega sulla mia vita sessuale e sanità mentale, quindi.

Peraltro, i fiori di Bach sono dolci, buoni da mangiare, e le gomme da masticare al Rescue Remedy hanno anche un sapore insolito che mi piace molto, ma in realtà consistono nel riversare nell'acqua le "energie" di alcuni fiori e piante, lasciati in "infusione" al sole. Questa sostanza viene poi diluita - sempre secondo il principio della fantomatica "memoria dell'acqua" - in brandy e altro.
Se siete in ansia e andate al bar a farvi il grappino gli effetti sono, grossomodo, gli stessi.

Nella prossima puntata: il mysterioso Effetto Placebo, come mai non conviene contarci per guarire la Falena, e perché comunque un sacco di "discipline alternative" sono da incoraggiare se per il singolo funzionano... ovvero del perché SOLO CON L'OMEOPATIA NON SE NE ESCE, MA SE TI FA SENTIRE MEGLIO INSIEME AD ALTRE CURE SERIE, ACCOMODATI PURE. 

venerdì 24 marzo 2017

Le cinque W della Falena - Parte II

Dopo aver chiarito oltre ogni ragionevole dubbio (o, almeno, lo spero) che questo blog riguarda solo la mia esperienza personale, e che per farsi aiutare in caso di Attacco di Falena occorre rivolgersi a dei professionisti seri, vorrei fare un triplo salto carpiato alla Hilary/Hikari sulla questione lasciata aperta nello scorso post, cioè lo Scatolone della
Hilary/Hikari e il suo Triplo Salto Carpiato! Evviva 
(semicit.)!
Vergogna e le sue implicazioni.

Punti fermi delle Puntate Precedenti i seguenti:



  1. La depressione è una malattia;
  2. La depressione può essere sconfitta;
  3. Non è un male rivolgersi a uno specialista, nel senso di...
  4. ... uno psichiatra per i farmaci;
  5. ... uno psicoterapeuta;
  6. Non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto e di ammettere che la Falena ci è zompata addosso. 
Tuttavia, nonostante gli inquietanti casi di cronaca di Tizio/a che in un raptus uccide il/la partner e poi leva la mano vindice su se medesimo, e le conseguenti campagne di Pubblicità Progresso che invitano i depressi a rivolgersi al Telefono Amico (o chi per lui), non vedo nessuno ansioso di piazzare dappertutto enormi tazebao dichiarando urbi et orbi di avere uno sgradito lepidottero come ospite. 
Non credo che sia per pudore, né per riservatezza, né per mancanza di "esibizionismo" (sentita con le mie orecchie: da quand'è che ammettere di avere un problema è diventato esibizionismo?): tra tutte le motivazioni per non voler raccontare di avere la depressione, le prime due sono umane e comprensibili. 
In realtà, però, non costituiscono esse stesse il motivo per cui molti non raccontano di avere un problema, nemmeno quando ce ne sarebbe bisogno. 
Un esempio di Vita Vissuta™.
"Perché ieri non sei venuto al giapponese per la festa di compleanno di Asdrubala? Ci è rimasta male!"
"Eh, cosa vuoi, mi dispiace ma non mi sentivo bene... avevo il raffreddore".
Laddove "raffreddore" significava, in realtà: "Ero a casa a mangiare un intero bidone di gelato al cioccolato con il cucchiaio da insalata, tentando di tirarmi su abbastanza da non seppellirmi in camera mia senza  lavarmi per l'intero weekend".
Questo dialogo - con retrotesto - è l'esatta rappresentazione delle conseguenze dello Scatolone della Vergogna.
Sì, sorvoliamo sul fatto che ci sono individui - come me, da
quando sto meglio - che sarebbero in grado di condire
un chirashi con le lacrime versate per la morte
del proprio pesce rosso... anch'esso finito
nel chirashi.
Certamente uno può aver pudore di ammettere di essere stato abbrancato dalla Falena, e secco come l'oro un sacco di individui cercheranno di autospiegarsi il castello di balle che vanno raccontando appiccicandoci l'etichetta "riservatezza". 
Ora, immaginando che la parola "raffreddore" nel discorso di cui sopra significasse davvero "rinite di origine virale", la frase improvvisamente smette di essere assurda e acquista un senso compiuto.
Uno con il naso che gli cola e spernacchia come una tromba non ha voglia di andare a scofanarsi di pesce crudo all'All You Can Eat, no?
L'obiezione ha perfettamente senso.
Se la depressione è una malattia, perché alla domanda sul forfait alla festa di compleanno di Asdrubala nessuno risponderebbe: "No, guarda, non ho lo spirito di venire a festeggiare questa sera. Rovinerei solo il divertimento a tutti: fate come se ci fossi e divorate i tavoli in salsa di soia anche per me"?
  1. Per non vedersi presi per pazzi;
  2. Perché, davanti a una risposta del genere, l'Amico-Tipo risponderebbe insistendo/dicendoti di non fare il musone/sostenendo che te la tiri/altre amenità.
Queste stesse circostanze si ripetono in qualsiasi circostanza della vita quotidiana che richieda contatto con il pubblico che possa essere reso difficile dalla presenza della Falena - cioè, a parte dormire e andare di corpo, praticamente tutte
I punti 1 e 2, infatti, sono la manifestazione interiore ed esteriore dello Scatolone della Vergogna, cioè quello che spinge le stazioni ospitanti della Falena a nascondere il proprio disturbo come nel 1700 tra gentiluomini si nascondeva di avere uno zio che barava alle carte.
Se, però, questo atteggiamento ha l'indubbio vantaggio di mettere al riparo dalle domande e dai giudizi - idioti - del pubblico, in un individuo generalmente fragile come il depresso porta alla tentazione di ammettere che sì. È vero: in me c'è qualcosa di anormale. Reagisco in modo anomalo. Sono matto/a.


No.

L'individuo clinicamente depresso non è matto; è malato. Non di una patologia psichica che causa davvero un'alterazione permanente della percezione di sé, o che altera in modo sensibile la personalità, però. 
Normalmente, a me, l'espressione "pazzo" fa imbestialire: perché è un termine colloquiale ignorante che fa una maccheronata gigante di una serie di disturbi anche gravi che colpiscono moltissimi esseri umani incolpevoli. E che, spesso, è usato anche in modo dispregiativo. 
Anche ammettendone l'uso da parte dell''"uomo della strada", tuttavia, uno che ospita un lepidottero omicida non è pazzo. Uno con un disturbo antisociale di personalità che ruba, stupra e vive ai margini della società è matto.
Uno schizofrenico non curato convinto, sotto l'influsso di allucinazioni, che il vicino voglia eliminarlo (e che per questo lo fa fuori lui) è pazzo.
Il pazzo può essere socialmente pericoloso.
Il depresso è solo un individuo bisognoso di cure, ma non fino a questo punto: e quando un attaccato dalla Falena fa una strage, è perché è diventato matto. Non lo era già da prima, e se avesse avuto accesso ad accudimento e cure probabilmente la Falena non lo avrebbe divorato da dentro a morsi così voraci da fargli desiderare di morire, e di portare con sé un  po' di compagnia. 
Perché non ha richiesto aiuto quando era il momento, e spesso non si è nemmeno accorto di essere stato attaccato dalla Falena?
A causa dello Scatolone della Vergogna.


Non fatevi ingannare dal suo aspetto mite. Se vi ci nascondente dentro,
uscirne sarà molto difficile.
Avete mai visto un gatto dormire in uno scatolone, e quanto è triste
quando deve emergere? Si sente protetto e al sicuro.
Ma se non ne venisse mai fuori, non potrebbe mangiare, giocare,
sgranchirsi le zampe, e schiavizzare i suoi umani con un solo sguardo,
come tipico di tutti i mici.
Il mondo è pieno di idioti, di cretini, e anche di amici o parenti benintenzionati ma ignoranti, che credono di fare il bene altrui con battute minimizzanti e dicendo ovvietà (di solito così esasperanti che, qualora i destinatari di cotali perle di saggezza li uccidesse, il giudice darebbe la legittima difesa). Indubbiamente, grazie al guscio creato dallo Scatolone della Vergogna, si evitano le loro intromissioni; ma alla fine, è come una prigione - l'ennesima - che cade addosso al depresso impedendogli di realizzare che basta qualcuno che aiuti a tornare a vedere l'orizzonte, invece del pavimento d'asfalto bagnato in cui sono immersi i piedi.  


Niente battute su cosa un depresso ambirebbe a fare con un cutter, please!

Sfondiamolo. 




martedì 21 marzo 2017

Le cinque W della Falena - parte I

Nel giornalismo anglosassone spesso, per conferire struttura logica all'articolo, si impiega la cosiddetta "Regola delle cinque W", cioè:

  1. Who = chi?
  2. What = cosa?
  3. Where = dove?
  4. When = quando?
  5. Why = perché?
Ora, io non sono un giornalista, tantomeno anglosassone: non ne ho l'aspetto, né i modi, e parlo un inglese zoppicante come un pirata con la gamba di legno. 
Quindi mi perdonerete se, spiegando come mai ho deciso di raccontare il mio incontro/scontro con la Falena e la lotta senza quartiere che ne è seguita, non seguirò precisamente queste cinque, auree, regole espositive.

Quando ho annunciato a uno dei miei migliori amici - sottolineo, uno dei pochi in grado di farmi ridere di gusto anche nel momento peggiore dell'Arrembaggio Entomologico - la mia intenzione di aprire questo blog, mi ha domandato perché volessi fare una cosa tanto stupida, anche se lo avevo avvertito della mia ferma intenzione di mantenere l'anonimato.
Non è che il mio amico, d'ora in poi chiamato per brevità Mimmo er Distruttore, credesse che non fossi in grado di portare avanti questo progetto, ma aveva paura impattassi con la massa di idioti che quotidianamente vagolano su internet cercando di dimostrare che la caricatura di Crozza Napalm51 esiste veramente.
Il noto complottista Napalm51, colui che - informato dalle
letture dei reportage-denuncia di John Gambardine -
si dedica a denunciare sui social le peggiori
 malefatte di Big Pharma, dei rettiliani, del Club
Bilderberg e, ovviamente, dell'Associazione Italiana
Produttori di Autocaravan, rea di aver causato il terremoto
in Centro Italia frullando il terreno con dei minipimer. 

Dal momento che  a volte tendo ad avere l'inconsulta fiducia nell'umanità tipica dei Bovari del Bernese e dei Leonberger - cani di grossissima-issima taglia, convinti che la loro funzione nel mondo sia di dare e distribuire coccole da chiunque e a qualunque cosa - mi sono allegramente impipata del suo avvertimento.
Ovviamente dopo il post precedente, nel quale mi sono soffermata a descrivere come l'omeopatia per la depressione sia l'equivalente dello sciacquarsi un arto ormai in cancrena, ho iniziato a ricevere mail da alcuni squinternati e addirittura pubblicità di improbabili prodotti che promettono di fare miracoli su qualunque patologia (anche psichica), mediante fasce da fronte agli ioni d'argento.
E io che credevo che certe cose capitassero solo a MedBunker, mica a una mezza cartuccia come me. Mah!



Tornando all'argomento del post, qualcuno potrebbe domandarsi per quale accidenti di motivo una persona che, dopo essere stata da chihuahua per mesi, inizia a sentirsi meglio, voglia accollarsi il rischio di avere a che fare con spammer, individui a cui l'alternativismo ha bruciato i neuroni, e altre amenità (ultima ma non ultima quella di essere fraintesa e trattata da matta dagli ignoranti).
È vero: molti terapisti consigliano di tenere un diario terapeutico per ripercorrere i miglioramenti ed effettuare dell'introspezione, sempre utile a trovare le motivazioni dell'Attacco della Falena (e, spesso, del perché il Maledetto Lepidottero ha scelto proprio noi).

Il Buon Oscar: mio mito letterario.
Tuttavia, non ho la minima intenzione
di emularlo nella vita reale: quindi NON
finirò in galera per le chiappe di un bel
giovanotto aristocratico, e purtroppo
non diventerò mai un'autrice celebre.
Pazienza. 
Non dico di non aver tentato: infatti, tengo un diario personale - con lucchetto e decorazioni interne di fiori, damine vittoriane e via discorrendo: per chiarire, uno di quello che secondo il Buon Oscar bisogna sempre portare con sé per avere qualcosa di sensazionale da leggere in treno - ma non si tratta di un diario terapeutico.
Inoltre, secondo me quando stai ancora troppo male, il diario terapeutico non è una buona idea: già il depresso ha la tentazione di autocommiserarsi e di rimuginare sui suoi guai, mettere per iscritto le sue farneticazioni non è di giovamento. O, perlomeno, non lo era per me. 

Questo blog è nato con un proposito diversissimo: cioè quello di raccontare la mia personale esperienza, di cercare di divertire attraverso una cosa che - pur presentando aspetti tragicomici - non è stata per niente spassosa, e di affrontare lo Scatolone della Vergogna.
Cosa sia quest'ultimo è un discorso estremamente complicato, che cercherò di affrontare nella seconda parte di questo post; per il momento, e anche per snellezza espositiva, vorrei spiegare una cosa.

Prima di tutto, occorre tener presente che qui racconto cosa è successo a me, in prima persona. 
Principalmente, perché vorrei che tutti, nel momento in cui un giorno si rendono conto di ospitare un'enorme Falena assetata di vita, avessero le fortune che, pur nella sfiga, ho avuto io: qualcuno che ti ama, e qualcun altro pronto ad ascoltarti. 
Soprattutto, la sensazione di non essere soli: che un Generico Chiunque, in un NessunDove, è sbigottito, sbalestrato e sconvolto esattamente come te. 
In questo periodo, non ho conosciuto nessuno che abbia sofferto di depressione e che fosse disposto ad ammetterlo: non è facile uscire dallo Scatolone della Vergogna. Ma mi sarebbe piaciuto parlare con qualcuno che sapesse cosa stessi passando.
I pochi gruppi di auto-aiuto che ho trovato sul web erano ancora più deprimenti che cercare di sgominare la Falena da soli: si parlava solo di effetti collaterali di farmaci (e mai di quelli che hanno funzionato), di esperienze passate, conflitti genitoriali, un presente che è un orizzonte cupo e amorfo in cui dibattersi.
Non è così. Voglio sia chiaro. 
La Falena è un ospite scomodo, che puzza ben prima di tre giorni: ma è, appunto, solo un ospite. Si può buttare fuori. Magari, nel corso della vita, tornerà a farci visita: ma sapere che una volta sei riuscito a sfrattarla renderà più facile liberarsene in futuro. 
Per cui, in questo blog voglio spiegare come, e perché, ce l'ho fatta - o ce la sto facendo.
Ma è solo la mia esperienza: quelle degli altri possono e devono essere differenti. Non pretendo che quel che per me ha funzionato valga per tutti.
Non fornisco consigli medici, ma spiego perché è giusto rivolgersi a personale qualificato.
Non prescrivo farmaci o cure, bensì espongo la mia esperienza, chiarisco che per me hanno funzionato, e che  decidere se, quando e quali assumere, spetta a un dottore.
Quando sostengo che qualcosa non ha alcun effetto in senso assoluto è perché è scientificamente così: sono, semplicemente, dei dati di fatto.
Ogni Falena ha un aspetto diverso, come differenti sono le motivazioni per cui quell'insetto ha scelto proprio quell'individuo. Però, in comune, hanno tutte che fanno star male e possono diventare pericolose.

Non c'è vergogna nel chiedere aiuto: non sempre si può bastare a se stessi, e spesso nemmeno si deve provare a farlo. 
Se anche solo una persona, leggendo questo blog, si rendesse conto di questo, potrei dire di aver raggiunto un risultato pari alla traversata della Manica a nuoto.
Pari secondo me, eh. Non succeda che qualche nuotatore esperto  - che ha davvero attraversato la Manica a nuoto  - mi scriva mail de fuego per darmi della merdina sportiva. 
Lo so anche senza che me lo diciate. E se lo ribadite, vi scateno dietro Mimmo. 

lunedì 13 marzo 2017

Il valzer dello Zoloft - Parte I

Per la verità ero incerta se scrivere questo post adesso, o aspettare piuttosto di aver spiegato per quali ragioni io abbia deciso di aprire questo blog e come mai ritenga che la mia esperienza possa essere utile (anche se, chiaramente, non ho la pretesa possa essere la stessa per tutti).
Ciò nonostante, mi sono resa conto di dover prima ancora fare una premessa fondamentale.




Avete presente quella terrificante pubblicità di una nota crema cosmetica in cuiuna melliflua voce maschile esordisce dicendo: "La cellulite è una malattia... con Somatoline, puoi combatterla!"?

Ecco, no. La cellulite - o meglio, pannicolopatia edemo-fibromatosa - non è una malattia. Nel modo più assoluto. È una degenerazione del tessuto lipidico sottocutaneo a cui sono geneticamente predisposte le donne di razza caucasica: circa l'80% degli adulti di sesso femminile appartenenti a questa razza ce l'hanno, e ha anche una funzione specifica e molto preziosa. 
In poche parole: un accumulo di grasso extra, che forma le caratteristiche pieghe e fossette su glutei, cosce e panzetta, torna utile nel caso arrivi un'epidemia di peste/carestia/crisi delle patate, perché serve a dare qualche chance in più di... be', di portare a casa la pelle.
Questo spiega anche per quale ragione una percentuale così elevata di donne caucasiche ne soffrano: è frutto della crudele selezione naturale. 
Se arriva la Peste Nera e ammazza un terzo della popolazione europea, causando spopolamento di intere zone e mazzi di morti per fame, le donne con qualche riserva in più nelle chiappe campano più a lungo e hanno anche la possibilità di riprodursi.
La Vera Cellulite, ossia una tremenda infezione
batterica sottocutanea. Come vedete,
il proprietario di questo braccio sì che ha qualcosa
di cui preoccuparsi.
Noialtre, che al massimo abbiamo l'ansia di
non avere il culo di Belen Rodriguez, no.
E francamente, dopo aver visto il braccio di 'sto poveraccio,
un po', a definire la "cellulite" (tra virgolette) una malattia,
mi vergognerei. 
Senza immaginare che, settecento anni dopo, quella che era una caratteristica genetica preziosissima si sarebbe trasformata nel babau dei bagnasciuga, ma tant'è...
Peraltro, una patologia che si chiama davvero cellulite esiste: ma di sicuro non si cura con una crema cutanea da settanta carte il barattolo, come potete evincere dalla foto a destra.
Un po' più grave di qualche fossetta sui fianchi, eh?


A questo mondo, migliaia di banalissimi disturbi sono trattati come malattie e "curati" di conseguenza, di solito con grande dispendio di denaro e risultati scarsini.


La menopausa, ad esempio: non si può accendere la televisione due secondi senza essere bombardati dalla pubblicità di pillole miracolose e integratori che promettono di eliminare ogni disturbo legato a quella che è, in definitiva, una fase della vita.
Be', donne e uomini, vi rivelo un incredibile segreto: salvo disturbi medicalmente riconosciuti, la menopausa non è una malattia. Neanche le mestruazioni, al netto di vere e proprie patologie ovariche, ormonali o a carico dell'endometrio.
Per fare esempi maschili, nemmeno la disfuzione erettile, dopo i settant'anni, è una patologia. 
Se vi succede con frequenza prima sì, quello è un disturbo che può essere a sua volta manifestazione di condizioni sottostanti anche gravi - soprattutto a carico del sistema circolatorio - quindi, gentlemen in sala, dovreste andare dall'andrologo.  
Ma direi che, dopo i settanta, se fate cilecca e non vi chiamate Charlie Chaplin potete anche evitare di preoccuparvi. 


Invece, ci sono malattie pericolose, invalidanti, che hanno serie conseguenze a carico di tutto l'organismo e impediscono di vivere bene, ma che - siccome non si vedono, o si camuffano con eccezionale abilità - non vengono generalmente trattate come tali.


L'attacco della Falena è una di queste.




La depressione è una malattia.

Stampiamocelo nel cervello a caratteri cubitali. 
Essere depressi significa essere ammalati.
Nessuno di noi vede i virus dell'influenza, ma nessuno si sognerebbe di dire che uno con l'influenza non sia malato. 
All'opposto: se uno si rompe un femore, nemmeno un cieco negherebbe il bisogno di cure di chi, per un mese o anche più, avrà problemi di deambulazione.
Ecco: uno che è stato aggredito dalla Falena ha bisogno di curarsi esattamente come una persona con un femore rotto, e deve essere fatto oggetto della medesima considerazione.
Essere depressi, d'altro canto, non significa "essere matti", e non è una condizione della quale si debba portare le stimmate per tutta la vita, vergognandosi come bari all'idea di ammettere di averla - e di essere, di conseguenza, bisognosi delle cure di cui sopra.
Se uno ha la polmonite, ha pudore di andare dal medico o al Pronto Soccorso?
No: è assurdo.
Altrettanto assurdo è nascondersi perché depressi, a prescindere dalle motivazioni per cui la Falena ti è saltata addosso. 
La Vergogna della Falena è argomento complesso, che merita un post a sé: mi limito qui ad affermare con forza un principio indispensabile da cui è nato tutto lo sforzo che profondo in questo blog.

Essere malati non è una colpa, e come non si può prendersela con il poveraccio che in pieno inverno ha il raffreddore, non è nemmeno giusto trattare il depresso come un appestato. Riconosco che avere a che fare con una persona attaccata dalla Falena può non essere divertente, e nemmeno particolarmente gradevole, ma la vita non è una sit-com scandita qui e lì da allegre risate registrate. 
Può accadere che persone che amate non siano al top della forma (per usare l'eufemismo del secolo), e il fatto che stiano male dentro o fuori è del tutto irrilevante: sì, anche se la società oggigiorno tende a considerare l'essere umano per varie ragioni poco performante utile quanto un'auto senza batteria. 
Da quando ho acquisito piena consapevolezza di cosa veramente mi faceva stare così male, la cosa che mi ha ferita di più è stato constatare l'assoluta mancanza di rispetto del mondo esterno per le debolezze umane.
Non so per quale ragione molti si comportino guardando al depresso come a un maiale a due teste, ma tant'è: nell'ipotesi più gentile, credo si possa dire sia perché molte persone hanno paura di trovarsi, una volta o l'altra, a soffrire loro stesse di un disturbo così invalidante. Perciò, esorcizzano il pericolo trattando l'ospite della Falena come uno che se l'è cercata (perché si comportino così verso il depresso e non, ad esempio, verso un evasore fiscale o un Presidente del Consiglio che va con le minorenni, non l'ho ancora capito).
Siccome però "l'ipotesi più gentile" la maggior parte delle volte, purtroppo, dà credito agli esseri umani di una complessità emotiva e intellettuale che non hanno, sono propensa a pensare che l'essere ignoranti come paracarri, arroganti e stronzi conduca alcuni a deridere i disabili e tantomeno a non avere riguardi per chi si trova soffrire di un malessere squisitamente psichico. 

Questa mancanza di rispetto esterna conduce molti ospiti della Falena a sviluppare un tratto ancora più pericoloso della cattiveria degli estranei  - che, e col senno di poi posso dirvelo francamente, merita pochissima considerazione anche quando gli "estranei" sfortunatamente sono il tuo capo - cioè la mancanza di rispetto per se stessi.
Simpatico esemplare di calyptra talichtri, la volgarmente detta
"Falena Vampiro".
Esempio perfetto di cosa fa la Falena se appena appena
le offrite il destro di svalutarvi come molti vi
inducono a fare. 
Non bisogna mai, nemmeno per un secondo, dimenticarsi di come si era, né cedere alla tentazione di autocommiserarsi per come si è diventati.
È difficile, e certe volte vorreste francamente seppellirvi in casa come Emily Dickinson... ma anche no.
L'ombra delle ali della Falena in certi momenti sarà enorme, e sembrerà di essere risucchiati sotto di essa, ma non è vero.
La Falena è un cazzo di insetto, pure brutto, e merita che ogni giorno voi vi guardiate allo specchio e vi ripetiate dove deve stare: avvolta in un batuffolo di ovatta, scaraventata nel water, con voi che le ghignate dietro pronti a tirare la catena.

Nella prossima puntata: perché ballare il valzer con lo Zoloft (o chi per lui), come scegliere il cavaliere, perché non rifiutare l'invito a ballare, e come accettare di avere bisogno di un giro di pista.



Ecco. NON quella pista.


venerdì 10 marzo 2017

La Falena ninja, ovvero di come fare "Ce l'ho, ce l'ho... manca!" coi sintomi - Parte II

Cito dalla sezione dedicata alle neuroscienze della Fondazione Umberto Veronesi (i commenti in blu elettrico fashion rappresentano le mie riflessioni all'epoca, circa all'inquasi):


I criteri del DSM-IV (Manuale diagnostico-statistico) per la diagnosi di depressione 
Occorre che 5 o più dei seguenti sintomi [figurati se ne ho così tanti, ma dai!] siano stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane [be', in fondo due settimane sono parecchie] rappresentino un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento [Come le lavatrici? C'è l'obsolescenza programmata causata da bug delle multinazionali degli elettrodomestici? E se bevo Bolt Due in Uno è conveniente, risparmio e ho l'ammorbidente?]; almeno uno dei sintomi dev’essere costituito da umore depresso o perdita di interesse o piacere [fin qui ci siamo].  
a) Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto o come osservato da altri [credo che piangere in continuazione sia sintomo di "umore depresso": ce l'ho] 
b) Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno [be', questo forse no.. il fatto che non mi interessi leggere, mangiare, guardare anime, camminare o comunque alzarmi dal letto e che una pila di graphic novel di Jiro Taniguchi si stia ammucchiando da mesi sul mio comodino non significa niente, vero?... ok, ce l'ho] 
c) Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell'appetito quasi ogni giorno [Va bene, è incontestabile, ce l'ho] 
d) Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno [se ce le ho tutte e due vale doppio? Cosa si vince?] 
e) Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno [mh. Il rallentamento motorio l'ho sempre avuto, almeno secondo la mia professoressa di Educazione Fisica... però la sensazione di stare perpetuamente per affrontare un esercito di zombie armata unicamente di cupcakes c'è. Costantemente] 
f) Affaticamento o mancanza di energia quasi ogni giorno [be', se passo costantemente le notti a contare pecore, pecari, impala e dugonghi invece di dormire è normale che sia affaticata...] 
g) Sentimenti di autosvalutazione oppure sentimenti eccessivi o inappropriati di colpa quasi ogni giorno [grazie a 'staminchia, se mi andava tutto a gonfie vele e non desideravo ogni giorno di smettere di essere/comportarmi da perfetta incapace, non starei leggendo questo articolo... giusto?] 
h) Diminuzione della capacità di pensare o concentrarsi, o difficoltà a prendere decisioni, quasi ogni giorno [in effetti, passare varie decine di minuti anche solo a stabilire quale piede mettere per terra dal materasso ogni mattina potrebbe rientrare al di sotto della categoria "difficoltà a prendere decisioni"] 
i) Ricorrenti pensieri di morte, ricorrente ideazione suicida senza elaborazione di piani specifici, oppure un tentativo di suicidio o l'elaborazione di un piano specifico per commettere suicidio [e qui non posso fingere che il mio vagheggiato tentativo di approccio col tram non c'entri. Ce l'ho]. 
Occorre inoltre che:
  • I sintomi causino disagio clinicamente significativo o un'alterazione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre importanti aree.
  • I sintomi non siano dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o a una condizione medica generale.
  • I sintomi non siano meglio giustificati da lutto, cioè dopo la perdita di una persona cara i sintomi persistono per più di due mesi o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.
La Dottoressa aveva avuto ragione, fin dal principio: la Falena mi aveva agguantato, e io non lo sapevo. Forse, in qualche modo, non avevo voluto saperlo, perché è difficile rendersi conto che nella propria vita si è insinuato un elemento potentemente estraneo sul quale si ha poco - se non nessun - controllo: ma questa consapevolezza è arrivata solo molti mesi dopo.
Lì per lì sono rimasta imbambolata come una cretina davanti allo schermo dell'Ipad di mia madre, con la sua inquietante custodia a gattini brillantinati che mi fissavano con uno sguardo che implorava la vivisezione del padrone, chiedendomi com'è che una presenza così palese e ingombrante si fosse impossessata della mia esistenza senza che me ne accorgessi.

La Falena si mimetizza meglio di un marine, e ha la
capacità,all'occorrenza, di inabissarsi nel sentiero di
Ho Chi Min come un vietcong con il marine
di cui sopra alle calcagna.
L'unica risposta che sono riuscita a a darmi è che, evidentemente, la Falena aveva le capacità di mimetismo di un ninja (sempre meglio che pensare di avere io l'acume dell'Ispettore Zenigata).
Chiariamo: la tentazione principale nel momento in cui smascheri la Falena è l'autoaccusa. 
Perché te lo avevano detto, perché non te ne sei accorto prima nonostante stessi male da tempo, perché "non ti sei curato" e, da ultimo, perché ti rendi conto che adesso dovrai cercare di uscirne e nel frattempo non sarai produttivo e affidabile come prima. 
Su quest'ultimo punto ho passato letteralmente settimane ad arrovellarmi: non potevo abbandonare lo stage, ma contemporaneamente non riuscivo a dare il massimo né a reggere bene la tensione; quest'ultima, vi assicuro, era notevole: chiaramente tutti si erano resi conto che avessi qualcosa che non andava, ma ritenevano anche che fossi effettivamente così, mentre invece si trattava dei sintomi dell'attacco della Falena. 
Inoltre, se già erano stati i problemi sul lavoro e l'approccio al mondo fuori dall'Università a costituire la miccia scatenante dell'attacco, trovarmi a dover dimostrare continuamente che no, non ero pazza - no, non ero una donnetta emotivamente instabile - no, non ero una patata bollente da scaricare a un altro capo sempre più recalcitrante, avevo solo bisogno di un po' di incoraggiamento e quiete  - no, non ero indegna dell'Alto Onore del posto che pure occupavo (gratis, perché all'idea di pagare lo stagista in Italia non siamo ancora pervenuti) non aveva avuto effetti positivi sulla mia situazione generale. 
Spingendomi sempre più all'abboccamento con il tram della scorsa puntata. 

***

Quando la Falena viene scoperta, non scappa. Sa benissimo di avere il coltello dalla parte del manico, e la semplice consapevolezza della sua presenza non può scalfirla in alcun modo.
La Falena in questo si comporta come tutte le malattie che affliggono gli esseri umani: sapere di avere un cancro al seno non lo farà regredire se decidi di non curarti (oppure di farlo con metodi alternativi da ciarlatano, quali una dieta veg/l'omeopatia/il metodo Stamina). 
Esattamente come sapere che ti è stata amputata una gamba non la fa ricrescere, e può fare di te un invalido, se non ti abitui a camminare, correre o guidare con la protesi. 
La Falena non rimane spaventata dall'abisso della piena coscienza, perché ci sguazza: se per crescere ha approfittato della tua ignoranza, il terrore, lo scoraggiamento, il senso di colpa che ti attanagliano quando ti rendi conto di essere stata catturata da lei sono solo fertilizzante in cui può ulteriormente prosperare. Mi spiego meglio...



Nel caso non si fosse capito, amo molto gli anime e i manga. Come tutta la mia generazione di bambini (nati tra la metà degli anni '80 e la metà degli anni '90) sono stata, in qualche misura, allevata dal tubo catodico. 

Un giorno forse parlerò di come l'adolescenza prolungata,
che impedisce oggi ai trentenni di avere un ruolo
sociale ben definito, consenta a una persona che si avvia
verso la metà della terza decade della propria vita
di passare pomeriggi d'ozio a guardare i cartoni animati,
nonché di accumulare qualcosa come milletrecento
volumi di fumetti... ma non è questo il giorno
Tra i molti prodotti partiti dalla terra del Sol Levante giunti ai patri lidi, c'era un anime oggigiorno piuttosto ignoto, ma che aveva la caratteristica interessante di essere ambientato nel Giappone del Periodo Edo, intitolato "L'invincibile Shogun". 
In questo cartone un nobile possidente, accompagnato dai suoi fidi servitori e da un cane, girava a piedi tutto il Paese a raddrizzare torti e sgominare nemici; praticamente una specie di Robin Hood nipponico che però non rubava niente (non ne aveva bisogno, essendo già ricco di suo, benché conciato come un poveraccio).
La cosa interessante era come il protagonista sconfiggeva i masnadieri che in ogni singola puntata opprimevano contadini, rapivano donzelle, rapinavano i viandanti e via discorrendo: semplicemente a un certo punto sfoderava un aggeggio con uno stemma e gridava "Inchinatevi davanti al nobile shogun Tokugawa Mitsukuni Mito!" (occasionalmente, anche dando a uno dei suoi servitori una specie di tergisudore chiamato "fascia della potenza" che conferiva a costui una forza sovrumana per caricare di mazzate i malviventi). 
Alla fine, in realtà quasi tutti i peggiori delinquenti affrontati dallo Shogun semplicemente deponevano le armi non appena venuti a sapere di trovarsi al cospetto di cotanto personaggio.
Tokugawa Mitsukuni Mito nell'atto di sconfiggere una banda di
criminali incalliti e assetati di sangue semplicemente
mostrando quant'è nobile e ricco.
C'è da domandarsi come mai questo anime non abba avuto
successo...
Ecco, la Falena non si comporta così.
Non fuggirà annichilita dalla vostra sconfinata forza interiore, né si lascerà sgomentare dalla vostra improvvisa illuminazione di starla ospitando, anche perché spesso quando raggiungete questa consapevolezza ha occupato così tanto spazio nell'economia della vostra mente da lasciarvi inerti davanti alla scoperta. 
Non gliene importa, così come non vi lascerà requie cercando di divorare tutto quello che siete stati, e potreste ancora essere.
Ospitare la Falena è come ospitare una tenia di venti metri. Può vivere dentro di te per mesi, se non anni, ma fatalmente inizia a consumarti e l'unico modo per liberarsene consiste nel trovare la testa ed eliminarla.
Nel frattempo, tuttavia, estrarre il corpo a pezzi fa sentire molto meglio, anche se trovare il vermifugo più adatto può non essere molto semplice. 
Per la verità, è facile tanto quanto sfuggire a una muta di pitbull affamati con addosso un vestito di würstel, ma - come ho spiegato nel primo post - quando si ha a che fare con la Falena "fare o non fare: non c'è provare".
Altrimenti lei potrebbe tentare di farti fuori, e ha gli strumenti per riuscirci.