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martedì 10 ottobre 2017

Del deserto pulito, e del perché sia meglio sporcarlo - parte I

Vi piace il cinema? Vorrei parlarvi di un film.
Considerate, tra le altre cose, questo post come un consiglio per gli acquisti (o per i download da BitTorrent); confido che, alla fine, avrete quantomeno trovato un modo per passare una serata vuota. Una serata molto vuota, data la lunghezza della pellicola in questione.
Sto parlando di "Lawrence d'Arabia", del 1962, per la regia di David Lean.
Godetevi la splendida locandina vintage in pole
position
. Questo film è un capolavoro, con un
cast formato da alcuni dei migliori attori che abbiano
mai passeggiato sul suolo terrestre (Peter O'Toole,
Alec Guinnes, Anthony Quinn e Omar Sharif,
giusto per citarne quattro), ed è visionario
in tutto, dalla scenografia alla colonna sonora
pazzesca che, per un caso del destino toccato a poche
pellicole (tra cui Via col Vento) è così epica
che la conosce anche chi non ha, in effetti, mai visto
questo film. 
Primo - e finora unico, nonostante il pregevole tentativo de "Il Signore degli Anelli", in cui comunque tre personaggi femminili a spasso ci sono - tentativo riuscito di proporre una sceneggiatura in cui non solo non c'è un subplot romantico a sostegno dell'eroe, ma non si vede neppure una donna, è un assoluto titano del cinema di guerra, di viaggi, involontariamente gay-friendly, di... di tutto, insomma.
Un approfondimento su che cosa veramente fu il Trattato Sykes-Picot, e il conflitto per l'indipendenza nella penisola araba durante la I Guerra Mondiale, tra l'altro, può contribuire a fare chiarezza nelle menti confuse di molti occidentali sul punto.
Vi siete mai chiesti perché Sauditi e Iraniani non si possano vedere, o per quale motivo gli stati nella penisola arabica abbiano dei confini privi di qualsiasi comprensibilità geografica, sembrando tracciati col righello?
Perché popolazioni spesso completamente estranee le une dalle altre, sia per lingua che per etnia, siano finite a convivere forzatamente in Stati che paiono sbucati dal nulla come i funghi?
Cominciate da questo film, e andate avanti (magari leggendo anche quel capolavoro della letteratura che è "I sette pilastri della saggezza", del vero Lawrence d'Arabia, ossia il colonnello T. E. Lawrence), poi mi saprete dire. 
Non volendo attirare anche i leghisti, oltre agli alternativi folli, su questo blog, tuttavia, mi preme spiegare per quale ragione io abbia iniziato questo post. Non è nel modo più assoluto per impartire lezioni spicce di geopolitica mediorientale - non ci provo né ne ho l'intenzione - bensì per spiegare uno dei fenomeni in assoluto peggiori che la Falena porta con sé. 
In un dialogo particolarmente memorabile della pellicola, il colonnello Lawrence, alla domanda di un giornalista americano che gli chiede come mai gli piacesse così tanto il deserto, risponde: « È pulito. Mi piace, perché è pulito ». 
Ecco, quando la Falena ti mette sotto attacco - perlomeno nella mia personale esperienza, ma mi dicono sia un sintomo classico della depressione clinica - dentro ti senti pulito.
Per la precisione, senti un deserto: completamente vuoto, come se un enorme bidone aspiratutto avesse lasciato campo a un hangar di spazio. Che, però, non hai nessuna voglia di riempire. 
Se all'inizio, almeno, si percepiscono ancora delle emozioni di qualche genere - rabbia, poi tristezza, poi ansia e una sensazione di pericolo immanente - con l'andare del tempo restano i residui, sommamente fastidiosi, di quello che c'era. 
Unite a un buio accecante che sembra essersi mangiato tutto ciò che eri. 

Ora, ciò che siamo, per la maggior parte degli individui,  è descritto anche dalle attività piacevoli, dagli interessi, dai talenti che una persona ha.
La Falena copre tutto con le sue ali membranose, ovattandolo in un universo in cui niente di tutto ciò ha più alcun significato - fino a insinuare, pericolosamente, che tu stesso non ne abbia più uno. 
Questa condizione, che è in effetti abbastanza difficile da capire se non la si è vissuti in prima persona, si chiama anedonia, e - per citare Wikipedia,
descrive l'incapacità di un paziente a provare piacere, anche in circostanze e attività normalmente piacevoli come dormire, nutrirsi, le esperienze sessuali e il contatto sociale.
Non è che l'anedonia si presenti così, tutta d'un botto: no. Come molte manifestazioni della Falena, aumenta lentamente finché non sei sommerso dal vuoto.
All'inizio può manifestarsi con un bisogno di dormire sempre di più - o sempre meno. Poi con la perdita di voglia di fare: anche cose che hai sempre adorato o che hanno sempre risvegliato il tuo interesse. 
Sei sempre stato un accanito runner, in grado di alzarsi
all'alba per affrontare la giungla d'asfalto cittadina
armato solo delle tue scarpe tecniche e di una
determinazione fuori del comune? All'improvviso,
farai fatica a infilare i piedi nelle pantofole a forma di
smorfiotto che tieni ai piedi del letto
prima delle undici del mattino. 
Per cui potresti trovarti all'improvviso a non praticare più lo sport che amavi - sensazione che io non ho mai provato, beninteso - o a non seguire più la tua serie TV preferita.
Via via passioni che occupavano uno spazio importante nell'economia della tua esistenza (o che, addirittura, definivano la tua esistenza) finiscono per annacquarsi in una ottundente nebbia grigia. 
Alla fine, cose che magari non sono interessi nel vero senso del termine, ma che sono fondamentali per la sopravvivenza o per il mantenimento di un minimo di standard di vita, finiscono per risultare completamente inutili.
Ed è un processo che va avanti, inesorabile proprio perché ti priva di quello che ci rende esseri umani un pezzetto per volta.
Non fai più caso al fatto che preferisci stare sdraiato a letto - non a dormire, ma a guardare il soffitto - piuttosto che alzarti per andare a vedere una mostra. 
Poi, lentamente, non ti accorgi che preferisci poltrire tra le coltri piuttosto che lavarti
Ovviamente, di uscire al cinema con gli amici non se ne parla: perché accidenti dovresti imporre loro la tua presenza? Inoltre, già è difficile cercare di mantenere un minimo di apparenza per presentarsi al lavoro. Alla sera, ogni energia emotiva residua che si possa avere, è ormai definitivamente consumata.
Infilarsi i vestiti richiede uno sforzo disumano, prima destinato a cose che costituivano effettivamente sforzo (fare otto piani di scale a piedi, studiare cinquanta pagine al giorno). 
Alla fine, anche il cibo diventa una cosa priva di importanza.
Non importa se, prima dell'attacco della Falena, eravate i
Casanova di Voghera, o le Tigri del Ribaltabile di Frosinone.
Davanti alle Sue Membranose Estremità, anche
un accoppiamento con Bar Refaeli o Chris Hemsworth
sembra un intreccio sudaticcio e umido, interessante
quanto infilare i piedi nella salsa di soia. 
Il sesso, poi, non ne parliamo. Innanzitutto è una cosa che richiede un minimo di attrazione verso qualcun altro, e quindi implica che questo Altro Ipotetico possa risvegliare in voi un qualche livello di attenzione (il che, quando non ne avete da sprecare nemmeno per fare una cosa come lavarvi i denti, diventa complicato). Poi, il sesso è faticoso
Richiede movimenti complessi, lo sforzo di mantenere un minimo di apparenza fisica - cosa che, per le donne, è ancora più stancante. 

Questa, peraltro, è la mia personale esperienza. So che, raramente - ma comunque in misura rilevante, dato che la Falena è e resta il disturbo psichico più diffuso nel mondo Occidentale - succede che proprio a causa sua molti si dedichino a un'attività sessuale promiscua e frenetica. 
Il problema è che questa Proliferazione della Polluzione costituisce la proprietà commutativa dell'anedonia.
Avete presente quando in una moltiplicazione si possono invertire i fattori, ma il risultato non cambia?
Ecco, il Deserto Pulito è identico. Perché il motivo di fondo per cui molti si danno ai bagordi, è che in realtà quegli stessi eccessi che dovrebbero risultare divertenti non lo sono
Kaputt. Finis.
Il buio in sala. 

Nella prossima puntata: come riempire il deserto, fermarsi e ripartire, o anche non fermarsi - se ci aiuta a ripartire. 


venerdì 24 marzo 2017

Le cinque W della Falena - Parte II

Dopo aver chiarito oltre ogni ragionevole dubbio (o, almeno, lo spero) che questo blog riguarda solo la mia esperienza personale, e che per farsi aiutare in caso di Attacco di Falena occorre rivolgersi a dei professionisti seri, vorrei fare un triplo salto carpiato alla Hilary/Hikari sulla questione lasciata aperta nello scorso post, cioè lo Scatolone della
Hilary/Hikari e il suo Triplo Salto Carpiato! Evviva 
(semicit.)!
Vergogna e le sue implicazioni.

Punti fermi delle Puntate Precedenti i seguenti:



  1. La depressione è una malattia;
  2. La depressione può essere sconfitta;
  3. Non è un male rivolgersi a uno specialista, nel senso di...
  4. ... uno psichiatra per i farmaci;
  5. ... uno psicoterapeuta;
  6. Non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto e di ammettere che la Falena ci è zompata addosso. 
Tuttavia, nonostante gli inquietanti casi di cronaca di Tizio/a che in un raptus uccide il/la partner e poi leva la mano vindice su se medesimo, e le conseguenti campagne di Pubblicità Progresso che invitano i depressi a rivolgersi al Telefono Amico (o chi per lui), non vedo nessuno ansioso di piazzare dappertutto enormi tazebao dichiarando urbi et orbi di avere uno sgradito lepidottero come ospite. 
Non credo che sia per pudore, né per riservatezza, né per mancanza di "esibizionismo" (sentita con le mie orecchie: da quand'è che ammettere di avere un problema è diventato esibizionismo?): tra tutte le motivazioni per non voler raccontare di avere la depressione, le prime due sono umane e comprensibili. 
In realtà, però, non costituiscono esse stesse il motivo per cui molti non raccontano di avere un problema, nemmeno quando ce ne sarebbe bisogno. 
Un esempio di Vita Vissuta™.
"Perché ieri non sei venuto al giapponese per la festa di compleanno di Asdrubala? Ci è rimasta male!"
"Eh, cosa vuoi, mi dispiace ma non mi sentivo bene... avevo il raffreddore".
Laddove "raffreddore" significava, in realtà: "Ero a casa a mangiare un intero bidone di gelato al cioccolato con il cucchiaio da insalata, tentando di tirarmi su abbastanza da non seppellirmi in camera mia senza  lavarmi per l'intero weekend".
Questo dialogo - con retrotesto - è l'esatta rappresentazione delle conseguenze dello Scatolone della Vergogna.
Sì, sorvoliamo sul fatto che ci sono individui - come me, da
quando sto meglio - che sarebbero in grado di condire
un chirashi con le lacrime versate per la morte
del proprio pesce rosso... anch'esso finito
nel chirashi.
Certamente uno può aver pudore di ammettere di essere stato abbrancato dalla Falena, e secco come l'oro un sacco di individui cercheranno di autospiegarsi il castello di balle che vanno raccontando appiccicandoci l'etichetta "riservatezza". 
Ora, immaginando che la parola "raffreddore" nel discorso di cui sopra significasse davvero "rinite di origine virale", la frase improvvisamente smette di essere assurda e acquista un senso compiuto.
Uno con il naso che gli cola e spernacchia come una tromba non ha voglia di andare a scofanarsi di pesce crudo all'All You Can Eat, no?
L'obiezione ha perfettamente senso.
Se la depressione è una malattia, perché alla domanda sul forfait alla festa di compleanno di Asdrubala nessuno risponderebbe: "No, guarda, non ho lo spirito di venire a festeggiare questa sera. Rovinerei solo il divertimento a tutti: fate come se ci fossi e divorate i tavoli in salsa di soia anche per me"?
  1. Per non vedersi presi per pazzi;
  2. Perché, davanti a una risposta del genere, l'Amico-Tipo risponderebbe insistendo/dicendoti di non fare il musone/sostenendo che te la tiri/altre amenità.
Queste stesse circostanze si ripetono in qualsiasi circostanza della vita quotidiana che richieda contatto con il pubblico che possa essere reso difficile dalla presenza della Falena - cioè, a parte dormire e andare di corpo, praticamente tutte
I punti 1 e 2, infatti, sono la manifestazione interiore ed esteriore dello Scatolone della Vergogna, cioè quello che spinge le stazioni ospitanti della Falena a nascondere il proprio disturbo come nel 1700 tra gentiluomini si nascondeva di avere uno zio che barava alle carte.
Se, però, questo atteggiamento ha l'indubbio vantaggio di mettere al riparo dalle domande e dai giudizi - idioti - del pubblico, in un individuo generalmente fragile come il depresso porta alla tentazione di ammettere che sì. È vero: in me c'è qualcosa di anormale. Reagisco in modo anomalo. Sono matto/a.


No.

L'individuo clinicamente depresso non è matto; è malato. Non di una patologia psichica che causa davvero un'alterazione permanente della percezione di sé, o che altera in modo sensibile la personalità, però. 
Normalmente, a me, l'espressione "pazzo" fa imbestialire: perché è un termine colloquiale ignorante che fa una maccheronata gigante di una serie di disturbi anche gravi che colpiscono moltissimi esseri umani incolpevoli. E che, spesso, è usato anche in modo dispregiativo. 
Anche ammettendone l'uso da parte dell''"uomo della strada", tuttavia, uno che ospita un lepidottero omicida non è pazzo. Uno con un disturbo antisociale di personalità che ruba, stupra e vive ai margini della società è matto.
Uno schizofrenico non curato convinto, sotto l'influsso di allucinazioni, che il vicino voglia eliminarlo (e che per questo lo fa fuori lui) è pazzo.
Il pazzo può essere socialmente pericoloso.
Il depresso è solo un individuo bisognoso di cure, ma non fino a questo punto: e quando un attaccato dalla Falena fa una strage, è perché è diventato matto. Non lo era già da prima, e se avesse avuto accesso ad accudimento e cure probabilmente la Falena non lo avrebbe divorato da dentro a morsi così voraci da fargli desiderare di morire, e di portare con sé un  po' di compagnia. 
Perché non ha richiesto aiuto quando era il momento, e spesso non si è nemmeno accorto di essere stato attaccato dalla Falena?
A causa dello Scatolone della Vergogna.


Non fatevi ingannare dal suo aspetto mite. Se vi ci nascondente dentro,
uscirne sarà molto difficile.
Avete mai visto un gatto dormire in uno scatolone, e quanto è triste
quando deve emergere? Si sente protetto e al sicuro.
Ma se non ne venisse mai fuori, non potrebbe mangiare, giocare,
sgranchirsi le zampe, e schiavizzare i suoi umani con un solo sguardo,
come tipico di tutti i mici.
Il mondo è pieno di idioti, di cretini, e anche di amici o parenti benintenzionati ma ignoranti, che credono di fare il bene altrui con battute minimizzanti e dicendo ovvietà (di solito così esasperanti che, qualora i destinatari di cotali perle di saggezza li uccidesse, il giudice darebbe la legittima difesa). Indubbiamente, grazie al guscio creato dallo Scatolone della Vergogna, si evitano le loro intromissioni; ma alla fine, è come una prigione - l'ennesima - che cade addosso al depresso impedendogli di realizzare che basta qualcuno che aiuti a tornare a vedere l'orizzonte, invece del pavimento d'asfalto bagnato in cui sono immersi i piedi.  


Niente battute su cosa un depresso ambirebbe a fare con un cutter, please!

Sfondiamolo. 




venerdì 10 marzo 2017

La Falena ninja, ovvero di come fare "Ce l'ho, ce l'ho... manca!" coi sintomi - Parte II

Cito dalla sezione dedicata alle neuroscienze della Fondazione Umberto Veronesi (i commenti in blu elettrico fashion rappresentano le mie riflessioni all'epoca, circa all'inquasi):


I criteri del DSM-IV (Manuale diagnostico-statistico) per la diagnosi di depressione 
Occorre che 5 o più dei seguenti sintomi [figurati se ne ho così tanti, ma dai!] siano stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane [be', in fondo due settimane sono parecchie] rappresentino un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento [Come le lavatrici? C'è l'obsolescenza programmata causata da bug delle multinazionali degli elettrodomestici? E se bevo Bolt Due in Uno è conveniente, risparmio e ho l'ammorbidente?]; almeno uno dei sintomi dev’essere costituito da umore depresso o perdita di interesse o piacere [fin qui ci siamo].  
a) Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto o come osservato da altri [credo che piangere in continuazione sia sintomo di "umore depresso": ce l'ho] 
b) Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno [be', questo forse no.. il fatto che non mi interessi leggere, mangiare, guardare anime, camminare o comunque alzarmi dal letto e che una pila di graphic novel di Jiro Taniguchi si stia ammucchiando da mesi sul mio comodino non significa niente, vero?... ok, ce l'ho] 
c) Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell'appetito quasi ogni giorno [Va bene, è incontestabile, ce l'ho] 
d) Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno [se ce le ho tutte e due vale doppio? Cosa si vince?] 
e) Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno [mh. Il rallentamento motorio l'ho sempre avuto, almeno secondo la mia professoressa di Educazione Fisica... però la sensazione di stare perpetuamente per affrontare un esercito di zombie armata unicamente di cupcakes c'è. Costantemente] 
f) Affaticamento o mancanza di energia quasi ogni giorno [be', se passo costantemente le notti a contare pecore, pecari, impala e dugonghi invece di dormire è normale che sia affaticata...] 
g) Sentimenti di autosvalutazione oppure sentimenti eccessivi o inappropriati di colpa quasi ogni giorno [grazie a 'staminchia, se mi andava tutto a gonfie vele e non desideravo ogni giorno di smettere di essere/comportarmi da perfetta incapace, non starei leggendo questo articolo... giusto?] 
h) Diminuzione della capacità di pensare o concentrarsi, o difficoltà a prendere decisioni, quasi ogni giorno [in effetti, passare varie decine di minuti anche solo a stabilire quale piede mettere per terra dal materasso ogni mattina potrebbe rientrare al di sotto della categoria "difficoltà a prendere decisioni"] 
i) Ricorrenti pensieri di morte, ricorrente ideazione suicida senza elaborazione di piani specifici, oppure un tentativo di suicidio o l'elaborazione di un piano specifico per commettere suicidio [e qui non posso fingere che il mio vagheggiato tentativo di approccio col tram non c'entri. Ce l'ho]. 
Occorre inoltre che:
  • I sintomi causino disagio clinicamente significativo o un'alterazione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre importanti aree.
  • I sintomi non siano dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o a una condizione medica generale.
  • I sintomi non siano meglio giustificati da lutto, cioè dopo la perdita di una persona cara i sintomi persistono per più di due mesi o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.
La Dottoressa aveva avuto ragione, fin dal principio: la Falena mi aveva agguantato, e io non lo sapevo. Forse, in qualche modo, non avevo voluto saperlo, perché è difficile rendersi conto che nella propria vita si è insinuato un elemento potentemente estraneo sul quale si ha poco - se non nessun - controllo: ma questa consapevolezza è arrivata solo molti mesi dopo.
Lì per lì sono rimasta imbambolata come una cretina davanti allo schermo dell'Ipad di mia madre, con la sua inquietante custodia a gattini brillantinati che mi fissavano con uno sguardo che implorava la vivisezione del padrone, chiedendomi com'è che una presenza così palese e ingombrante si fosse impossessata della mia esistenza senza che me ne accorgessi.

La Falena si mimetizza meglio di un marine, e ha la
capacità,all'occorrenza, di inabissarsi nel sentiero di
Ho Chi Min come un vietcong con il marine
di cui sopra alle calcagna.
L'unica risposta che sono riuscita a a darmi è che, evidentemente, la Falena aveva le capacità di mimetismo di un ninja (sempre meglio che pensare di avere io l'acume dell'Ispettore Zenigata).
Chiariamo: la tentazione principale nel momento in cui smascheri la Falena è l'autoaccusa. 
Perché te lo avevano detto, perché non te ne sei accorto prima nonostante stessi male da tempo, perché "non ti sei curato" e, da ultimo, perché ti rendi conto che adesso dovrai cercare di uscirne e nel frattempo non sarai produttivo e affidabile come prima. 
Su quest'ultimo punto ho passato letteralmente settimane ad arrovellarmi: non potevo abbandonare lo stage, ma contemporaneamente non riuscivo a dare il massimo né a reggere bene la tensione; quest'ultima, vi assicuro, era notevole: chiaramente tutti si erano resi conto che avessi qualcosa che non andava, ma ritenevano anche che fossi effettivamente così, mentre invece si trattava dei sintomi dell'attacco della Falena. 
Inoltre, se già erano stati i problemi sul lavoro e l'approccio al mondo fuori dall'Università a costituire la miccia scatenante dell'attacco, trovarmi a dover dimostrare continuamente che no, non ero pazza - no, non ero una donnetta emotivamente instabile - no, non ero una patata bollente da scaricare a un altro capo sempre più recalcitrante, avevo solo bisogno di un po' di incoraggiamento e quiete  - no, non ero indegna dell'Alto Onore del posto che pure occupavo (gratis, perché all'idea di pagare lo stagista in Italia non siamo ancora pervenuti) non aveva avuto effetti positivi sulla mia situazione generale. 
Spingendomi sempre più all'abboccamento con il tram della scorsa puntata. 

***

Quando la Falena viene scoperta, non scappa. Sa benissimo di avere il coltello dalla parte del manico, e la semplice consapevolezza della sua presenza non può scalfirla in alcun modo.
La Falena in questo si comporta come tutte le malattie che affliggono gli esseri umani: sapere di avere un cancro al seno non lo farà regredire se decidi di non curarti (oppure di farlo con metodi alternativi da ciarlatano, quali una dieta veg/l'omeopatia/il metodo Stamina). 
Esattamente come sapere che ti è stata amputata una gamba non la fa ricrescere, e può fare di te un invalido, se non ti abitui a camminare, correre o guidare con la protesi. 
La Falena non rimane spaventata dall'abisso della piena coscienza, perché ci sguazza: se per crescere ha approfittato della tua ignoranza, il terrore, lo scoraggiamento, il senso di colpa che ti attanagliano quando ti rendi conto di essere stata catturata da lei sono solo fertilizzante in cui può ulteriormente prosperare. Mi spiego meglio...



Nel caso non si fosse capito, amo molto gli anime e i manga. Come tutta la mia generazione di bambini (nati tra la metà degli anni '80 e la metà degli anni '90) sono stata, in qualche misura, allevata dal tubo catodico. 

Un giorno forse parlerò di come l'adolescenza prolungata,
che impedisce oggi ai trentenni di avere un ruolo
sociale ben definito, consenta a una persona che si avvia
verso la metà della terza decade della propria vita
di passare pomeriggi d'ozio a guardare i cartoni animati,
nonché di accumulare qualcosa come milletrecento
volumi di fumetti... ma non è questo il giorno
Tra i molti prodotti partiti dalla terra del Sol Levante giunti ai patri lidi, c'era un anime oggigiorno piuttosto ignoto, ma che aveva la caratteristica interessante di essere ambientato nel Giappone del Periodo Edo, intitolato "L'invincibile Shogun". 
In questo cartone un nobile possidente, accompagnato dai suoi fidi servitori e da un cane, girava a piedi tutto il Paese a raddrizzare torti e sgominare nemici; praticamente una specie di Robin Hood nipponico che però non rubava niente (non ne aveva bisogno, essendo già ricco di suo, benché conciato come un poveraccio).
La cosa interessante era come il protagonista sconfiggeva i masnadieri che in ogni singola puntata opprimevano contadini, rapivano donzelle, rapinavano i viandanti e via discorrendo: semplicemente a un certo punto sfoderava un aggeggio con uno stemma e gridava "Inchinatevi davanti al nobile shogun Tokugawa Mitsukuni Mito!" (occasionalmente, anche dando a uno dei suoi servitori una specie di tergisudore chiamato "fascia della potenza" che conferiva a costui una forza sovrumana per caricare di mazzate i malviventi). 
Alla fine, in realtà quasi tutti i peggiori delinquenti affrontati dallo Shogun semplicemente deponevano le armi non appena venuti a sapere di trovarsi al cospetto di cotanto personaggio.
Tokugawa Mitsukuni Mito nell'atto di sconfiggere una banda di
criminali incalliti e assetati di sangue semplicemente
mostrando quant'è nobile e ricco.
C'è da domandarsi come mai questo anime non abba avuto
successo...
Ecco, la Falena non si comporta così.
Non fuggirà annichilita dalla vostra sconfinata forza interiore, né si lascerà sgomentare dalla vostra improvvisa illuminazione di starla ospitando, anche perché spesso quando raggiungete questa consapevolezza ha occupato così tanto spazio nell'economia della vostra mente da lasciarvi inerti davanti alla scoperta. 
Non gliene importa, così come non vi lascerà requie cercando di divorare tutto quello che siete stati, e potreste ancora essere.
Ospitare la Falena è come ospitare una tenia di venti metri. Può vivere dentro di te per mesi, se non anni, ma fatalmente inizia a consumarti e l'unico modo per liberarsene consiste nel trovare la testa ed eliminarla.
Nel frattempo, tuttavia, estrarre il corpo a pezzi fa sentire molto meglio, anche se trovare il vermifugo più adatto può non essere molto semplice. 
Per la verità, è facile tanto quanto sfuggire a una muta di pitbull affamati con addosso un vestito di würstel, ma - come ho spiegato nel primo post - quando si ha a che fare con la Falena "fare o non fare: non c'è provare".
Altrimenti lei potrebbe tentare di farti fuori, e ha gli strumenti per riuscirci.