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martedì 10 ottobre 2017

Del deserto pulito, e del perché sia meglio sporcarlo - parte I

Vi piace il cinema? Vorrei parlarvi di un film.
Considerate, tra le altre cose, questo post come un consiglio per gli acquisti (o per i download da BitTorrent); confido che, alla fine, avrete quantomeno trovato un modo per passare una serata vuota. Una serata molto vuota, data la lunghezza della pellicola in questione.
Sto parlando di "Lawrence d'Arabia", del 1962, per la regia di David Lean.
Godetevi la splendida locandina vintage in pole
position
. Questo film è un capolavoro, con un
cast formato da alcuni dei migliori attori che abbiano
mai passeggiato sul suolo terrestre (Peter O'Toole,
Alec Guinnes, Anthony Quinn e Omar Sharif,
giusto per citarne quattro), ed è visionario
in tutto, dalla scenografia alla colonna sonora
pazzesca che, per un caso del destino toccato a poche
pellicole (tra cui Via col Vento) è così epica
che la conosce anche chi non ha, in effetti, mai visto
questo film. 
Primo - e finora unico, nonostante il pregevole tentativo de "Il Signore degli Anelli", in cui comunque tre personaggi femminili a spasso ci sono - tentativo riuscito di proporre una sceneggiatura in cui non solo non c'è un subplot romantico a sostegno dell'eroe, ma non si vede neppure una donna, è un assoluto titano del cinema di guerra, di viaggi, involontariamente gay-friendly, di... di tutto, insomma.
Un approfondimento su che cosa veramente fu il Trattato Sykes-Picot, e il conflitto per l'indipendenza nella penisola araba durante la I Guerra Mondiale, tra l'altro, può contribuire a fare chiarezza nelle menti confuse di molti occidentali sul punto.
Vi siete mai chiesti perché Sauditi e Iraniani non si possano vedere, o per quale motivo gli stati nella penisola arabica abbiano dei confini privi di qualsiasi comprensibilità geografica, sembrando tracciati col righello?
Perché popolazioni spesso completamente estranee le une dalle altre, sia per lingua che per etnia, siano finite a convivere forzatamente in Stati che paiono sbucati dal nulla come i funghi?
Cominciate da questo film, e andate avanti (magari leggendo anche quel capolavoro della letteratura che è "I sette pilastri della saggezza", del vero Lawrence d'Arabia, ossia il colonnello T. E. Lawrence), poi mi saprete dire. 
Non volendo attirare anche i leghisti, oltre agli alternativi folli, su questo blog, tuttavia, mi preme spiegare per quale ragione io abbia iniziato questo post. Non è nel modo più assoluto per impartire lezioni spicce di geopolitica mediorientale - non ci provo né ne ho l'intenzione - bensì per spiegare uno dei fenomeni in assoluto peggiori che la Falena porta con sé. 
In un dialogo particolarmente memorabile della pellicola, il colonnello Lawrence, alla domanda di un giornalista americano che gli chiede come mai gli piacesse così tanto il deserto, risponde: « È pulito. Mi piace, perché è pulito ». 
Ecco, quando la Falena ti mette sotto attacco - perlomeno nella mia personale esperienza, ma mi dicono sia un sintomo classico della depressione clinica - dentro ti senti pulito.
Per la precisione, senti un deserto: completamente vuoto, come se un enorme bidone aspiratutto avesse lasciato campo a un hangar di spazio. Che, però, non hai nessuna voglia di riempire. 
Se all'inizio, almeno, si percepiscono ancora delle emozioni di qualche genere - rabbia, poi tristezza, poi ansia e una sensazione di pericolo immanente - con l'andare del tempo restano i residui, sommamente fastidiosi, di quello che c'era. 
Unite a un buio accecante che sembra essersi mangiato tutto ciò che eri. 

Ora, ciò che siamo, per la maggior parte degli individui,  è descritto anche dalle attività piacevoli, dagli interessi, dai talenti che una persona ha.
La Falena copre tutto con le sue ali membranose, ovattandolo in un universo in cui niente di tutto ciò ha più alcun significato - fino a insinuare, pericolosamente, che tu stesso non ne abbia più uno. 
Questa condizione, che è in effetti abbastanza difficile da capire se non la si è vissuti in prima persona, si chiama anedonia, e - per citare Wikipedia,
descrive l'incapacità di un paziente a provare piacere, anche in circostanze e attività normalmente piacevoli come dormire, nutrirsi, le esperienze sessuali e il contatto sociale.
Non è che l'anedonia si presenti così, tutta d'un botto: no. Come molte manifestazioni della Falena, aumenta lentamente finché non sei sommerso dal vuoto.
All'inizio può manifestarsi con un bisogno di dormire sempre di più - o sempre meno. Poi con la perdita di voglia di fare: anche cose che hai sempre adorato o che hanno sempre risvegliato il tuo interesse. 
Sei sempre stato un accanito runner, in grado di alzarsi
all'alba per affrontare la giungla d'asfalto cittadina
armato solo delle tue scarpe tecniche e di una
determinazione fuori del comune? All'improvviso,
farai fatica a infilare i piedi nelle pantofole a forma di
smorfiotto che tieni ai piedi del letto
prima delle undici del mattino. 
Per cui potresti trovarti all'improvviso a non praticare più lo sport che amavi - sensazione che io non ho mai provato, beninteso - o a non seguire più la tua serie TV preferita.
Via via passioni che occupavano uno spazio importante nell'economia della tua esistenza (o che, addirittura, definivano la tua esistenza) finiscono per annacquarsi in una ottundente nebbia grigia. 
Alla fine, cose che magari non sono interessi nel vero senso del termine, ma che sono fondamentali per la sopravvivenza o per il mantenimento di un minimo di standard di vita, finiscono per risultare completamente inutili.
Ed è un processo che va avanti, inesorabile proprio perché ti priva di quello che ci rende esseri umani un pezzetto per volta.
Non fai più caso al fatto che preferisci stare sdraiato a letto - non a dormire, ma a guardare il soffitto - piuttosto che alzarti per andare a vedere una mostra. 
Poi, lentamente, non ti accorgi che preferisci poltrire tra le coltri piuttosto che lavarti
Ovviamente, di uscire al cinema con gli amici non se ne parla: perché accidenti dovresti imporre loro la tua presenza? Inoltre, già è difficile cercare di mantenere un minimo di apparenza per presentarsi al lavoro. Alla sera, ogni energia emotiva residua che si possa avere, è ormai definitivamente consumata.
Infilarsi i vestiti richiede uno sforzo disumano, prima destinato a cose che costituivano effettivamente sforzo (fare otto piani di scale a piedi, studiare cinquanta pagine al giorno). 
Alla fine, anche il cibo diventa una cosa priva di importanza.
Non importa se, prima dell'attacco della Falena, eravate i
Casanova di Voghera, o le Tigri del Ribaltabile di Frosinone.
Davanti alle Sue Membranose Estremità, anche
un accoppiamento con Bar Refaeli o Chris Hemsworth
sembra un intreccio sudaticcio e umido, interessante
quanto infilare i piedi nella salsa di soia. 
Il sesso, poi, non ne parliamo. Innanzitutto è una cosa che richiede un minimo di attrazione verso qualcun altro, e quindi implica che questo Altro Ipotetico possa risvegliare in voi un qualche livello di attenzione (il che, quando non ne avete da sprecare nemmeno per fare una cosa come lavarvi i denti, diventa complicato). Poi, il sesso è faticoso
Richiede movimenti complessi, lo sforzo di mantenere un minimo di apparenza fisica - cosa che, per le donne, è ancora più stancante. 

Questa, peraltro, è la mia personale esperienza. So che, raramente - ma comunque in misura rilevante, dato che la Falena è e resta il disturbo psichico più diffuso nel mondo Occidentale - succede che proprio a causa sua molti si dedichino a un'attività sessuale promiscua e frenetica. 
Il problema è che questa Proliferazione della Polluzione costituisce la proprietà commutativa dell'anedonia.
Avete presente quando in una moltiplicazione si possono invertire i fattori, ma il risultato non cambia?
Ecco, il Deserto Pulito è identico. Perché il motivo di fondo per cui molti si danno ai bagordi, è che in realtà quegli stessi eccessi che dovrebbero risultare divertenti non lo sono
Kaputt. Finis.
Il buio in sala. 

Nella prossima puntata: come riempire il deserto, fermarsi e ripartire, o anche non fermarsi - se ci aiuta a ripartire. 


mercoledì 19 aprile 2017

Analfabetismo funzionale & altre amenità - Parte I

Orso, simpatico nome medioevale, descrittivo di
un peloso, goffo animale, dedito alla letargia
al divoramento di salmoni, e grattarsi la schiena
contro i tronchi: insomma, il mio fidanzato.
Chiedo umilmente perdono per il periodo di silenzio: mi sono goduta la mia vita privata, le rane fritte e l'agnello a Pasqua, il mio fidanzato (da qui in poi noto come Orso), e altre cose che la Falena mi ha fisicamente impedito di apprezzare per mesi.
A impedirmi fisicamente di aggiornare il blog come avrei voluto, inoltre, è stato un Furbone Astutissimo™ che, evidentemente ritenendosi offeso mortalmente dalle mie asserzioni sull'inutilità di trattare la Falena con omeopatia e fiori di Bach, ha ben pensato (nell'ordine):


  1. di scrivermi un commento ingiurioso, il primo e unico ricevuto da questo blog (prontamente eliminato senza neanche tentare la replica);
  2.  vista la mala parata, di tempestarmi di mail in cui mi ha accusato di ogni possibile nefandezza, dallo squartamento di animali vivi allo scippo alle vecchiette (sto un po' colorendo l'aneddoto per renderlo simpatico, visto che personalmente non lo è stato per niente);
  3. quando le mail sono finite diritte nel cestino - cioè dopo parecchi giorni, visto che io raramente controllo l'indirizzo collegato a questo blog e non me n'ero accorta - e il Furbone Astutissimo™ inserito nella cartella SPAM, quest'individuo (nel cui nickname era presente la parola VEG a caratteri cubitali) ha ben pensato di tentare di forzare il mio indirizzo da PESCARA, causandone il blocco, la necessità di contattare Gmail, il cambio di password e una serie di operazioni che mi hanno causato un certo disagio, tale da tenermi lontana da questi lidi per un po'.
Tralasciando il dubbio gusto di tormentare un'estranea dicendole di tutto e di più senza alcun motivo - non mi resta che pensare che questo VEGFUrbone Astutissimo™ risenta grandemente degli effetti neurologici della privazione di vitamina B12 - sento che occorre ribadire alcuni punti che, evidentemente, non erano apparsi sufficientemente chiari nel precedente post.


1) Analfabetismo funzionale all'attacco
Negli anni scorsi, è salito alle luci - fosche, in questo caso - della ribalta un fenomeno abbastanza inquietante.
In parole povere, pare che gli italiani siano uno dei popoli al mondo con la più alta percentuale di analfabeti funzionali in proporzione alla popolazione scolarizzata.
Un analfabeta funzionale è un soggetto che, pur essendo del tutto in grado di leggere e scrivere, ha dei problemi nell'interpretazione del testo
In parole povere: non capisce un acciderba di niente di quello che gli viene messo sotto il naso, prestando fede alle peggiori bufale, incazzandosi come una iena per cose che non esistono in quanto ha frainteso dati esposti anche in linea comprensibile, e dimostrandosi in genere stupido come una zappa (agli occhi di chi non appartiene al 47% di analfabeti funzionali).
Persino LUI ha dei momenti di analfabetismo funzionale.
Immaginatelo leggere la sceneggiatura di Downton Abbey, o
un romanzo di Danielle Steel, e ci siete.
Tutti siamo in qualche misura analfabeti funzionali, almeno occasionalmente: io lo sono, ad esempio, davanti ai manuali di ingegneria quando spiegano il funzionamento di qualsiasi congegno meccanico più complesso della carrucola. Ammettere di non essere in grado di comprendere qualcosa - perché non ci interessa, o in quanto non si ha la preparazione necessaria - non è un crimine; anzi, è umano e lodevole.

Ciò nonostante, il web è un luogo oscuro, e pieno di terrori: alcuni di questi sono costituiti, per l'appunto, dagli analfabeti funzionali che si appostano nell'ombra cercando qualche cosa per la quale indignarsi.
Siccome queste persone non si indignano mai per cause che meriterebbero un qualche dispendio di energia, trovano molto più semplice prendersela con un blog (pochissimo visitato e ancor meno commentato) di una persona che vuole semplicemente condividere la propria esperienza con un fenomeno ostico quanto comune come la depressione.
Questo perché VEGFurbone Astutissimo™ non ha evidentemente compreso il messaggio principale, che ripeterò per comodità espositiva a lettere cubitali:

Questo blog rappresenta solo la mia esperienza personale, non intende parlare per altri né fornire consigli clinici o farmacologici.
Le uniche informazioni di tal genere qui riportate hanno solide basi scientifiche, riconosciute dalla comunità medica e psichiatrica, e potrebbero essere confermate da qualunque dottore dotato di sale in zucca.

Ciò detto, passiamo al punto 2.

2)Perché l'omeopatia non ha basi scientifiche (e neanche i fiori di Bach)
L'omeopatia è una pseudomedicina inventata a cavallo tra il XVIII e XIX secolo da un medico tedesco che - in un periodo nel quale si ignoravano le cause patologiche di malattie e infezioni - aveva pensato che (semplifico estremamente, le informazioni più approfondite le potete trovare qui):

  1. Diluendo oltre la 200.000 volta una qualsiasi sostanza nell'acqua;
  2. Sciacquando un contenitore con quest'acqua e poi
  3. Sbattendo il contenitore contro una Bibbia e poi
  4. Sciacquando nuovamente il contenitore;
l'acqua conservasse una sorta di "memoria" della sostanza che c'era all'inizio. Essa veniva poi nebulizzata su zucchero, o incorporata in altre sostanze idroalcoliche, et voilà: secondo il principio del "simile che cura il simile", in questo modo si sarebbe trattato il disturbo (nel caso dell'ansia, ad esempio, usando un preparato omeopatico con caffeina).

Se vi sembrano stronzate, è perché lo sono: il medico tedesco di cui sopra lavorava in un periodo in cui spesso la medicina ufficiale causava danni peggiori dei disturbi che andava a cercare di curare, e per cui comunque non erano disponibili rimedi efficaci. Meglio l'acqua che niente, insomma. 
Oltretutto, esiste un principio chimico fondamentale secondo il quale, oltre una ennesima diluizione, della sostanza disciolta nel solvente (in questo caso, l'acqua) non resta più niente.

Secondo me, anche quando si tratta di curare un comune raffreddore o una botta presa in palestra, piuttosto che spendere inutilmente euro in rimedi che non rimediano a niente, è meglio conservare il denaro per vere medicine (da assumere se si è realmente malati); tuttavia, pur reputando l'omeopatia una cosa che definire pseudoscienza è farle un complimento, non sono contraria a coloro che acquistano rimedi di questo genere.

Ognuno a questo mondo ha il sacro diritto di fare quel che vuole della propria salute: e se alcuni credono di star meglio imbottendosi di sfere di zucchero a mille euro il kg, devono avere il diritto di farlo (non di farsi rimborsare 'ste cose dal SSN, ma questa è un'altra questione).
Un sacco di gente legge e crede all'Oroscopo. Pur reputandola una
cosa senza alcun fondamento astronomico o scientifico, non disprezzo
chi si fida delle previsioni astrali: semmai chi sfrutta le credenze
altrui a fini di lucro (con la sola eccezione di Masami Kurumada,
creatore dei Cavalieri  dello Zodiaco). 
L'esporre scientificamente come mai una cosa non funziona, non implica disprezzare coloro che credendoci ne fanno uso.
Non c'è ragione di tempestarmi di mail facendo insinuazioni di bassa lega sulla mia vita sessuale e sanità mentale, quindi.

Peraltro, i fiori di Bach sono dolci, buoni da mangiare, e le gomme da masticare al Rescue Remedy hanno anche un sapore insolito che mi piace molto, ma in realtà consistono nel riversare nell'acqua le "energie" di alcuni fiori e piante, lasciati in "infusione" al sole. Questa sostanza viene poi diluita - sempre secondo il principio della fantomatica "memoria dell'acqua" - in brandy e altro.
Se siete in ansia e andate al bar a farvi il grappino gli effetti sono, grossomodo, gli stessi.

Nella prossima puntata: il mysterioso Effetto Placebo, come mai non conviene contarci per guarire la Falena, e perché comunque un sacco di "discipline alternative" sono da incoraggiare se per il singolo funzionano... ovvero del perché SOLO CON L'OMEOPATIA NON SE NE ESCE, MA SE TI FA SENTIRE MEGLIO INSIEME AD ALTRE CURE SERIE, ACCOMODATI PURE. 

venerdì 24 marzo 2017

Le cinque W della Falena - Parte II

Dopo aver chiarito oltre ogni ragionevole dubbio (o, almeno, lo spero) che questo blog riguarda solo la mia esperienza personale, e che per farsi aiutare in caso di Attacco di Falena occorre rivolgersi a dei professionisti seri, vorrei fare un triplo salto carpiato alla Hilary/Hikari sulla questione lasciata aperta nello scorso post, cioè lo Scatolone della
Hilary/Hikari e il suo Triplo Salto Carpiato! Evviva 
(semicit.)!
Vergogna e le sue implicazioni.

Punti fermi delle Puntate Precedenti i seguenti:



  1. La depressione è una malattia;
  2. La depressione può essere sconfitta;
  3. Non è un male rivolgersi a uno specialista, nel senso di...
  4. ... uno psichiatra per i farmaci;
  5. ... uno psicoterapeuta;
  6. Non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto e di ammettere che la Falena ci è zompata addosso. 
Tuttavia, nonostante gli inquietanti casi di cronaca di Tizio/a che in un raptus uccide il/la partner e poi leva la mano vindice su se medesimo, e le conseguenti campagne di Pubblicità Progresso che invitano i depressi a rivolgersi al Telefono Amico (o chi per lui), non vedo nessuno ansioso di piazzare dappertutto enormi tazebao dichiarando urbi et orbi di avere uno sgradito lepidottero come ospite. 
Non credo che sia per pudore, né per riservatezza, né per mancanza di "esibizionismo" (sentita con le mie orecchie: da quand'è che ammettere di avere un problema è diventato esibizionismo?): tra tutte le motivazioni per non voler raccontare di avere la depressione, le prime due sono umane e comprensibili. 
In realtà, però, non costituiscono esse stesse il motivo per cui molti non raccontano di avere un problema, nemmeno quando ce ne sarebbe bisogno. 
Un esempio di Vita Vissuta™.
"Perché ieri non sei venuto al giapponese per la festa di compleanno di Asdrubala? Ci è rimasta male!"
"Eh, cosa vuoi, mi dispiace ma non mi sentivo bene... avevo il raffreddore".
Laddove "raffreddore" significava, in realtà: "Ero a casa a mangiare un intero bidone di gelato al cioccolato con il cucchiaio da insalata, tentando di tirarmi su abbastanza da non seppellirmi in camera mia senza  lavarmi per l'intero weekend".
Questo dialogo - con retrotesto - è l'esatta rappresentazione delle conseguenze dello Scatolone della Vergogna.
Sì, sorvoliamo sul fatto che ci sono individui - come me, da
quando sto meglio - che sarebbero in grado di condire
un chirashi con le lacrime versate per la morte
del proprio pesce rosso... anch'esso finito
nel chirashi.
Certamente uno può aver pudore di ammettere di essere stato abbrancato dalla Falena, e secco come l'oro un sacco di individui cercheranno di autospiegarsi il castello di balle che vanno raccontando appiccicandoci l'etichetta "riservatezza". 
Ora, immaginando che la parola "raffreddore" nel discorso di cui sopra significasse davvero "rinite di origine virale", la frase improvvisamente smette di essere assurda e acquista un senso compiuto.
Uno con il naso che gli cola e spernacchia come una tromba non ha voglia di andare a scofanarsi di pesce crudo all'All You Can Eat, no?
L'obiezione ha perfettamente senso.
Se la depressione è una malattia, perché alla domanda sul forfait alla festa di compleanno di Asdrubala nessuno risponderebbe: "No, guarda, non ho lo spirito di venire a festeggiare questa sera. Rovinerei solo il divertimento a tutti: fate come se ci fossi e divorate i tavoli in salsa di soia anche per me"?
  1. Per non vedersi presi per pazzi;
  2. Perché, davanti a una risposta del genere, l'Amico-Tipo risponderebbe insistendo/dicendoti di non fare il musone/sostenendo che te la tiri/altre amenità.
Queste stesse circostanze si ripetono in qualsiasi circostanza della vita quotidiana che richieda contatto con il pubblico che possa essere reso difficile dalla presenza della Falena - cioè, a parte dormire e andare di corpo, praticamente tutte
I punti 1 e 2, infatti, sono la manifestazione interiore ed esteriore dello Scatolone della Vergogna, cioè quello che spinge le stazioni ospitanti della Falena a nascondere il proprio disturbo come nel 1700 tra gentiluomini si nascondeva di avere uno zio che barava alle carte.
Se, però, questo atteggiamento ha l'indubbio vantaggio di mettere al riparo dalle domande e dai giudizi - idioti - del pubblico, in un individuo generalmente fragile come il depresso porta alla tentazione di ammettere che sì. È vero: in me c'è qualcosa di anormale. Reagisco in modo anomalo. Sono matto/a.


No.

L'individuo clinicamente depresso non è matto; è malato. Non di una patologia psichica che causa davvero un'alterazione permanente della percezione di sé, o che altera in modo sensibile la personalità, però. 
Normalmente, a me, l'espressione "pazzo" fa imbestialire: perché è un termine colloquiale ignorante che fa una maccheronata gigante di una serie di disturbi anche gravi che colpiscono moltissimi esseri umani incolpevoli. E che, spesso, è usato anche in modo dispregiativo. 
Anche ammettendone l'uso da parte dell''"uomo della strada", tuttavia, uno che ospita un lepidottero omicida non è pazzo. Uno con un disturbo antisociale di personalità che ruba, stupra e vive ai margini della società è matto.
Uno schizofrenico non curato convinto, sotto l'influsso di allucinazioni, che il vicino voglia eliminarlo (e che per questo lo fa fuori lui) è pazzo.
Il pazzo può essere socialmente pericoloso.
Il depresso è solo un individuo bisognoso di cure, ma non fino a questo punto: e quando un attaccato dalla Falena fa una strage, è perché è diventato matto. Non lo era già da prima, e se avesse avuto accesso ad accudimento e cure probabilmente la Falena non lo avrebbe divorato da dentro a morsi così voraci da fargli desiderare di morire, e di portare con sé un  po' di compagnia. 
Perché non ha richiesto aiuto quando era il momento, e spesso non si è nemmeno accorto di essere stato attaccato dalla Falena?
A causa dello Scatolone della Vergogna.


Non fatevi ingannare dal suo aspetto mite. Se vi ci nascondente dentro,
uscirne sarà molto difficile.
Avete mai visto un gatto dormire in uno scatolone, e quanto è triste
quando deve emergere? Si sente protetto e al sicuro.
Ma se non ne venisse mai fuori, non potrebbe mangiare, giocare,
sgranchirsi le zampe, e schiavizzare i suoi umani con un solo sguardo,
come tipico di tutti i mici.
Il mondo è pieno di idioti, di cretini, e anche di amici o parenti benintenzionati ma ignoranti, che credono di fare il bene altrui con battute minimizzanti e dicendo ovvietà (di solito così esasperanti che, qualora i destinatari di cotali perle di saggezza li uccidesse, il giudice darebbe la legittima difesa). Indubbiamente, grazie al guscio creato dallo Scatolone della Vergogna, si evitano le loro intromissioni; ma alla fine, è come una prigione - l'ennesima - che cade addosso al depresso impedendogli di realizzare che basta qualcuno che aiuti a tornare a vedere l'orizzonte, invece del pavimento d'asfalto bagnato in cui sono immersi i piedi.  


Niente battute su cosa un depresso ambirebbe a fare con un cutter, please!

Sfondiamolo. 




martedì 21 marzo 2017

Le cinque W della Falena - parte I

Nel giornalismo anglosassone spesso, per conferire struttura logica all'articolo, si impiega la cosiddetta "Regola delle cinque W", cioè:

  1. Who = chi?
  2. What = cosa?
  3. Where = dove?
  4. When = quando?
  5. Why = perché?
Ora, io non sono un giornalista, tantomeno anglosassone: non ne ho l'aspetto, né i modi, e parlo un inglese zoppicante come un pirata con la gamba di legno. 
Quindi mi perdonerete se, spiegando come mai ho deciso di raccontare il mio incontro/scontro con la Falena e la lotta senza quartiere che ne è seguita, non seguirò precisamente queste cinque, auree, regole espositive.

Quando ho annunciato a uno dei miei migliori amici - sottolineo, uno dei pochi in grado di farmi ridere di gusto anche nel momento peggiore dell'Arrembaggio Entomologico - la mia intenzione di aprire questo blog, mi ha domandato perché volessi fare una cosa tanto stupida, anche se lo avevo avvertito della mia ferma intenzione di mantenere l'anonimato.
Non è che il mio amico, d'ora in poi chiamato per brevità Mimmo er Distruttore, credesse che non fossi in grado di portare avanti questo progetto, ma aveva paura impattassi con la massa di idioti che quotidianamente vagolano su internet cercando di dimostrare che la caricatura di Crozza Napalm51 esiste veramente.
Il noto complottista Napalm51, colui che - informato dalle
letture dei reportage-denuncia di John Gambardine -
si dedica a denunciare sui social le peggiori
 malefatte di Big Pharma, dei rettiliani, del Club
Bilderberg e, ovviamente, dell'Associazione Italiana
Produttori di Autocaravan, rea di aver causato il terremoto
in Centro Italia frullando il terreno con dei minipimer. 

Dal momento che  a volte tendo ad avere l'inconsulta fiducia nell'umanità tipica dei Bovari del Bernese e dei Leonberger - cani di grossissima-issima taglia, convinti che la loro funzione nel mondo sia di dare e distribuire coccole da chiunque e a qualunque cosa - mi sono allegramente impipata del suo avvertimento.
Ovviamente dopo il post precedente, nel quale mi sono soffermata a descrivere come l'omeopatia per la depressione sia l'equivalente dello sciacquarsi un arto ormai in cancrena, ho iniziato a ricevere mail da alcuni squinternati e addirittura pubblicità di improbabili prodotti che promettono di fare miracoli su qualunque patologia (anche psichica), mediante fasce da fronte agli ioni d'argento.
E io che credevo che certe cose capitassero solo a MedBunker, mica a una mezza cartuccia come me. Mah!



Tornando all'argomento del post, qualcuno potrebbe domandarsi per quale accidenti di motivo una persona che, dopo essere stata da chihuahua per mesi, inizia a sentirsi meglio, voglia accollarsi il rischio di avere a che fare con spammer, individui a cui l'alternativismo ha bruciato i neuroni, e altre amenità (ultima ma non ultima quella di essere fraintesa e trattata da matta dagli ignoranti).
È vero: molti terapisti consigliano di tenere un diario terapeutico per ripercorrere i miglioramenti ed effettuare dell'introspezione, sempre utile a trovare le motivazioni dell'Attacco della Falena (e, spesso, del perché il Maledetto Lepidottero ha scelto proprio noi).

Il Buon Oscar: mio mito letterario.
Tuttavia, non ho la minima intenzione
di emularlo nella vita reale: quindi NON
finirò in galera per le chiappe di un bel
giovanotto aristocratico, e purtroppo
non diventerò mai un'autrice celebre.
Pazienza. 
Non dico di non aver tentato: infatti, tengo un diario personale - con lucchetto e decorazioni interne di fiori, damine vittoriane e via discorrendo: per chiarire, uno di quello che secondo il Buon Oscar bisogna sempre portare con sé per avere qualcosa di sensazionale da leggere in treno - ma non si tratta di un diario terapeutico.
Inoltre, secondo me quando stai ancora troppo male, il diario terapeutico non è una buona idea: già il depresso ha la tentazione di autocommiserarsi e di rimuginare sui suoi guai, mettere per iscritto le sue farneticazioni non è di giovamento. O, perlomeno, non lo era per me. 

Questo blog è nato con un proposito diversissimo: cioè quello di raccontare la mia personale esperienza, di cercare di divertire attraverso una cosa che - pur presentando aspetti tragicomici - non è stata per niente spassosa, e di affrontare lo Scatolone della Vergogna.
Cosa sia quest'ultimo è un discorso estremamente complicato, che cercherò di affrontare nella seconda parte di questo post; per il momento, e anche per snellezza espositiva, vorrei spiegare una cosa.

Prima di tutto, occorre tener presente che qui racconto cosa è successo a me, in prima persona. 
Principalmente, perché vorrei che tutti, nel momento in cui un giorno si rendono conto di ospitare un'enorme Falena assetata di vita, avessero le fortune che, pur nella sfiga, ho avuto io: qualcuno che ti ama, e qualcun altro pronto ad ascoltarti. 
Soprattutto, la sensazione di non essere soli: che un Generico Chiunque, in un NessunDove, è sbigottito, sbalestrato e sconvolto esattamente come te. 
In questo periodo, non ho conosciuto nessuno che abbia sofferto di depressione e che fosse disposto ad ammetterlo: non è facile uscire dallo Scatolone della Vergogna. Ma mi sarebbe piaciuto parlare con qualcuno che sapesse cosa stessi passando.
I pochi gruppi di auto-aiuto che ho trovato sul web erano ancora più deprimenti che cercare di sgominare la Falena da soli: si parlava solo di effetti collaterali di farmaci (e mai di quelli che hanno funzionato), di esperienze passate, conflitti genitoriali, un presente che è un orizzonte cupo e amorfo in cui dibattersi.
Non è così. Voglio sia chiaro. 
La Falena è un ospite scomodo, che puzza ben prima di tre giorni: ma è, appunto, solo un ospite. Si può buttare fuori. Magari, nel corso della vita, tornerà a farci visita: ma sapere che una volta sei riuscito a sfrattarla renderà più facile liberarsene in futuro. 
Per cui, in questo blog voglio spiegare come, e perché, ce l'ho fatta - o ce la sto facendo.
Ma è solo la mia esperienza: quelle degli altri possono e devono essere differenti. Non pretendo che quel che per me ha funzionato valga per tutti.
Non fornisco consigli medici, ma spiego perché è giusto rivolgersi a personale qualificato.
Non prescrivo farmaci o cure, bensì espongo la mia esperienza, chiarisco che per me hanno funzionato, e che  decidere se, quando e quali assumere, spetta a un dottore.
Quando sostengo che qualcosa non ha alcun effetto in senso assoluto è perché è scientificamente così: sono, semplicemente, dei dati di fatto.
Ogni Falena ha un aspetto diverso, come differenti sono le motivazioni per cui quell'insetto ha scelto proprio quell'individuo. Però, in comune, hanno tutte che fanno star male e possono diventare pericolose.

Non c'è vergogna nel chiedere aiuto: non sempre si può bastare a se stessi, e spesso nemmeno si deve provare a farlo. 
Se anche solo una persona, leggendo questo blog, si rendesse conto di questo, potrei dire di aver raggiunto un risultato pari alla traversata della Manica a nuoto.
Pari secondo me, eh. Non succeda che qualche nuotatore esperto  - che ha davvero attraversato la Manica a nuoto  - mi scriva mail de fuego per darmi della merdina sportiva. 
Lo so anche senza che me lo diciate. E se lo ribadite, vi scateno dietro Mimmo.